"SCHOPENHAUER"
Schopenhauer
Nella sua opera
principale, Il mondo come volontà
e rappresentazione, ARTHUR SCHOPENHAUER
(1788-1860), traendo spunti da Platone,
Kant e dalle Upanisad indiane, delinea
un'ampia metafisica della volontà.
Riprendendo Kant, Schopenhauer procede dal principio aprioristico secondo il quale per l'uomo come soggetto che conosce, il mondo circostante è dato solo come rappresentazione, ovvero esclusivamente in rapporto a un soggetto.
«Il mondo è mia rappresentazione.»
La suddivisione in soggetto e oggetto è la forma alla quale tutto il conoscere soggiace: gli oggetti sono dati solo nel modo in cui sono intuiti dal soggetto.
Le rappresentazioni si presentano in spazio e tempo e sono sottoposte al principio di ragione, secondo il quale tutte le nostre rappresentazioni regolarmente e in base alla forma sono collegate in modo determinato a priori.
In questo modo sono possibili scienza ed esperienza.
Le rappresentazioni costituiscono però, in certo qual modo, solo la parte esterna del mondo, la cui essenza si rivela nell'esperienza che il soggetto ha di se stesso.
Noi acquisiamo esperienza del nostro corpo in due modi: come oggetto (rappresentazione) e come volontà.
Le manifestazioni corporee non sono nient'altro che atti della volontà oggettivati.
Possiamo solo presumere che questo rapporto di base sia identico per tutte le altre rappresentazioni, la cui essenza è dunque la volontà.
Ogni fenomeno non è altro che un'oggettivazione di quella volontà che, sotto forma di inconoscibile "cosa in sé", è il fondamento del mondo;
un impulso cieco e irrazionale, che non riposa mai, ma che, piuttosto, aspira incessantemente a una forma.
Poiché, però, nella sua ricerca, questo impulso incontra solo se stesso, esso lotta perennemente contro di sé e da questa lotta derivano i gradi delle sue oggettivazioni.
Al livello più basso della natura esso si manifesta nelle forze fisiche e chimiche, nella materia organica sotto forma di carica vitale, istinto di conservazione e impulso sessuale.
Nell'uomo, infine, compare la ragione, che crea la volontà di per sé confusa come suo strumento.
Le rappresentazioni che, manifestandosi nello spazio e nel tempo, sono sottoposte al principio di ragione, costituiscono solo le oggettivazioni mediate della volontà.
Le idee sono i modelli delle singole cose, la forma dell'oggetto ma non sottostanno al principio di ragione; sono le forme eterne e immutabili di tutte le rappresentazioni che scaturiscono da esse nella loro molteplicità, tramite il principio di individuazione di spazio e tempo.
La visione delle idee è possibile solo per mezzo di un atto di pura abnegazione, attraverso cui il soggetto si libera della propria individualità e si identifica nell'oggetto.
Questo tipo di conoscenza costituisce l'origine dell'arte.
Il genio ha la facoltà di cogliere le idee e creare da ciò le sue opere.
La musica occupa, nella gerarchia delle arti, un posto particolare: essa non è rappresentazione dell'idea, ma della volontà stessa.
Il fondamento dell'etica schopenhaueriana sta nella distinzione fra carattere empirico e intelligibile.
Come ogni altro elemento, anche l'uomo è sottoposto alle leggi della natura.
Perciò gli scopi delle sue azioni derivano dal suo carattere con necessità e non sono liberi.
Da questi modi di agire si rivela il suo carattere empirico.
Il carattere che lo contraddistingue e lo determina è, tuttavia, la volontà, in sé assolutamente libera.
L'essere umano non agisce in base al desiderio di ciò che conosce, bensì acquisendo la coscienza di ciò che vuole.
Poiché l'agire del singolo deriva con necessità dal carattere, non ha alcun senso, secondo Schopenhauer, formulare leggi morali.
Egli si limita a descrivere ciò che è da ritenersi morale.
Fondamento della morale è la compassione, basata sulla convinzione secondo cui tutti gli esseri traggono origine da un'unica volontà e sono quindi, nel loro intimo, identici.
Nell'altro io vedo me stesso, nel suo dolore scorgo il mio stesso dolore.
Attraverso questa identificazione il bene dell'altro diventa essenziale come proprio bene.
Questo vale non solo per l'uomo, ma per tutti gli esseri viventi.
Quanto più si acquisisce coscienza dell'esistenza, tanto più si raggiunge la consapevolezza che ogni forma di esistenza è dolore.
La volontà ambisce al soddisfacimento dei desideri e alla pienezza, ma entrambi non sono ottenibili nel mondo.
Nessun tipo di soddisfacimento appaga durevolmente, perché questo bisogno (Streben) è inestinguibile.
La misura del dolore è inesauribile e cresce con l'acquisizione di una maggiore consapevolezza.
Solo contemplando le idee nell'arte la volontà trova breve riposo.
Questa presa di coscienza induce due diversi atteggiamenti nei confronti dell'esistenza: seguendo la volontà, l'uomo accetta, coscientemente, l'esistenza così come essa è, la propria vita e tutto ciò che ha conosciuto e che verrà; negandola, egli ricerca il superamento del dolore attraverso l'annullamento dell'impulso vitale.
Secondo Schopenhauer, questa è la via percorsa dagli asceti cristiani e indiani.
Riprendendo Kant, Schopenhauer procede dal principio aprioristico secondo il quale per l'uomo come soggetto che conosce, il mondo circostante è dato solo come rappresentazione, ovvero esclusivamente in rapporto a un soggetto.
«Il mondo è mia rappresentazione.»
La suddivisione in soggetto e oggetto è la forma alla quale tutto il conoscere soggiace: gli oggetti sono dati solo nel modo in cui sono intuiti dal soggetto.
Le rappresentazioni si presentano in spazio e tempo e sono sottoposte al principio di ragione, secondo il quale tutte le nostre rappresentazioni regolarmente e in base alla forma sono collegate in modo determinato a priori.
In questo modo sono possibili scienza ed esperienza.
Le rappresentazioni costituiscono però, in certo qual modo, solo la parte esterna del mondo, la cui essenza si rivela nell'esperienza che il soggetto ha di se stesso.
Noi acquisiamo esperienza del nostro corpo in due modi: come oggetto (rappresentazione) e come volontà.
Le manifestazioni corporee non sono nient'altro che atti della volontà oggettivati.
Possiamo solo presumere che questo rapporto di base sia identico per tutte le altre rappresentazioni, la cui essenza è dunque la volontà.
Ogni fenomeno non è altro che un'oggettivazione di quella volontà che, sotto forma di inconoscibile "cosa in sé", è il fondamento del mondo;
un impulso cieco e irrazionale, che non riposa mai, ma che, piuttosto, aspira incessantemente a una forma.
Poiché, però, nella sua ricerca, questo impulso incontra solo se stesso, esso lotta perennemente contro di sé e da questa lotta derivano i gradi delle sue oggettivazioni.
Al livello più basso della natura esso si manifesta nelle forze fisiche e chimiche, nella materia organica sotto forma di carica vitale, istinto di conservazione e impulso sessuale.
Nell'uomo, infine, compare la ragione, che crea la volontà di per sé confusa come suo strumento.
Le rappresentazioni che, manifestandosi nello spazio e nel tempo, sono sottoposte al principio di ragione, costituiscono solo le oggettivazioni mediate della volontà.
Le idee sono i modelli delle singole cose, la forma dell'oggetto ma non sottostanno al principio di ragione; sono le forme eterne e immutabili di tutte le rappresentazioni che scaturiscono da esse nella loro molteplicità, tramite il principio di individuazione di spazio e tempo.
La visione delle idee è possibile solo per mezzo di un atto di pura abnegazione, attraverso cui il soggetto si libera della propria individualità e si identifica nell'oggetto.
Questo tipo di conoscenza costituisce l'origine dell'arte.
Il genio ha la facoltà di cogliere le idee e creare da ciò le sue opere.
La musica occupa, nella gerarchia delle arti, un posto particolare: essa non è rappresentazione dell'idea, ma della volontà stessa.
Il fondamento dell'etica schopenhaueriana sta nella distinzione fra carattere empirico e intelligibile.
Come ogni altro elemento, anche l'uomo è sottoposto alle leggi della natura.
Perciò gli scopi delle sue azioni derivano dal suo carattere con necessità e non sono liberi.
Da questi modi di agire si rivela il suo carattere empirico.
Il carattere che lo contraddistingue e lo determina è, tuttavia, la volontà, in sé assolutamente libera.
L'essere umano non agisce in base al desiderio di ciò che conosce, bensì acquisendo la coscienza di ciò che vuole.
Poiché l'agire del singolo deriva con necessità dal carattere, non ha alcun senso, secondo Schopenhauer, formulare leggi morali.
Egli si limita a descrivere ciò che è da ritenersi morale.
Fondamento della morale è la compassione, basata sulla convinzione secondo cui tutti gli esseri traggono origine da un'unica volontà e sono quindi, nel loro intimo, identici.
Nell'altro io vedo me stesso, nel suo dolore scorgo il mio stesso dolore.
Attraverso questa identificazione il bene dell'altro diventa essenziale come proprio bene.
Questo vale non solo per l'uomo, ma per tutti gli esseri viventi.
Quanto più si acquisisce coscienza dell'esistenza, tanto più si raggiunge la consapevolezza che ogni forma di esistenza è dolore.
La volontà ambisce al soddisfacimento dei desideri e alla pienezza, ma entrambi non sono ottenibili nel mondo.
Nessun tipo di soddisfacimento appaga durevolmente, perché questo bisogno (Streben) è inestinguibile.
La misura del dolore è inesauribile e cresce con l'acquisizione di una maggiore consapevolezza.
Solo contemplando le idee nell'arte la volontà trova breve riposo.
Questa presa di coscienza induce due diversi atteggiamenti nei confronti dell'esistenza: seguendo la volontà, l'uomo accetta, coscientemente, l'esistenza così come essa è, la propria vita e tutto ciò che ha conosciuto e che verrà; negandola, egli ricerca il superamento del dolore attraverso l'annullamento dell'impulso vitale.
Secondo Schopenhauer, questa è la via percorsa dagli asceti cristiani e indiani.