"SCOLASTICA"
Scolatica I
La figura dell'inglese
RUGGERO BACONE (1215 ca.-1292) si ascrive nell'ambito della tradizione
di studio dei fenomeni naturali tramite basi
matematiche fondata dall'inglese ROBERTO
GROSSATESTA (1168 ca.-1253) presso l'Università
di Oxford.
Punto nodale di questa tradizione è la teoria della luce, secondo la quale la luce è considerata una sostanza autocreantesi e veicolo delle forze agenti in natura.
I fenomeni naturali si possono, pertanto, conoscere tramite le leggi della geometria, che sono quelle seguite dalla luce.
Al fine di migliorare le condizioni di vita della gente e rafforzare il cristianesimo, Bacone predica una riforma della chiesa e della società.
Allo scopo è necessario un sapere fondato sulla esperienzae metodologicamente valido.
Pertanto, nella sua opera Opus maius, egli elenca innanzitutto le quattro principali fonti di errore:
- una fede cieca in false autorità;
- l'abitudine, che salvaguarda ciò che è sbagliato;
- Pregiudizi della gente incolta;
- un sapere apparente, dietro il quale si cela l'ignoranza.
Alla teologia e alla filosofia del suo tempo Bacone rimprovera di utilizzare metodi non scientifici e di occuparsi di falsi problemi.
Quali rimedi al riguardo egli propone quattro ambiti del sapere:
- l'esegesi biblica e l'interpretazione dei testi losofici devono basarsi sulla conoscenza della lingua originale (richiesta rivoluzionaria per il suo tempo);
- la matematica è il fondamento delle scienze: essa è innata nell'uomo e non è possibile alcuna forma chiara di conoscenza senza di essa;
- sulla base del ruolo attribuito alla luce, l'ottica (perspectiva) diviene una delle scienze fondamentali attraverso la quale viene trasmessa applicazione di metodi matematici e speriMentali; - il sapere si costruisce sull'esperienza: affermazioni concernenti la natura necessitano di una sua conferma o confutazione;
conseguentemente, viene attribuita grande importanza all'esperimento;
Bacone riconosce, inoltre, un'esperienza interiore, l'illuminazione, che concerne lo spirituale e l'esperienza del divino.
Secondo Bacone facendo un uso corretto della ragione non può sorgere un conflitto fra teologia e scienza, poichè sia la verità della scienza razionale che la verità della rivelazione hanno fondamento nel sapere assoluto divino.
l'italiano BONAVENTURA DA BAGNOREGIO (Giovanni Fidanza; 1221 ca.-1274; dal 1257 ministro generale dell'ordine francescano) appartiene alla "scuola francescana più antica".
In posizione alla corrente dell'aristotelismo, egli si riferisce ad Agostino e al neoplatonismo.
Tuttavia, egli utilizza anche idee di Aristotele, del quale riconosce l'autorità nell'ambito delle scienze "terrene".
Peraltro, secondo Bonaventura, Aristotele ha, in ambito metafisico, trascurato l'essenziale, perché non ha considerato valida la dottrina platonica delle idee e, quindi, respinto anche l'idea degli archetipi di tutto l'esistente nell'intelletto divino.
Bonaventura sostiene una metafisica della luce ispirata al pensiero di Grossatesta, secondo la quale la luce costituisce la forma comune a tutti i corpi.
Tramite essa ha luogo la formazione della materia, con la costituzione di forme elementari, miste e spirituali.
Egli ritiene, pertanto, che ogni entità esistente sia composta da una pluralità di forme.
Le forme scaturiscono da ragioni seminali, che dall'inizio dei tempi furono poste da Dio nella materia.
La via della conoscenza per l'uomo conduce attraverso il mondo creato, nel quale egli riconosce la presenza di Dio.
Al riguardo, Bonaventura distingue, come livelli di conoscenza, contenuti che sono ombre, tracce o immagini del divino.
Nel suo Itinerarium mentis in Deum, Bonaventura descrive le tappe attraverso le quali è possibile giungere all'unione mistica con Dio.
Giunti al livello più alto, l'attività razionale si acquieta e l'animo viene totalmente compreso in Dio.
Il catalano RAIMONDO LULLO (1232-1315) rappresenta, nell'ambito della filosofia del suo tempo, una figura originale.
Le sue idee vennero, peraltro, riprese da Cusano e Bruno.
Leibniz diede rilievo al concetto lulliano di logica combinatoria.
Nell'Ars magna et ultima, Lullo illustra concetti, principi e metodi che costituiscono il fondamento di ogni scienza.
Si tratta di una "ars inveniendi veritatem", un'arte di ricercare la verità, che non si occupa solo di principi formali, bensì rincipi di verità del contenuto.
Lullo prende le mosse da principi assoluti (trascendenti) e relativi (relazioni oggettive), il cui rapporto di dipendenza viene dimostrato sulla base di leggi combinatorie.
A tal scopo, egli crea figure particolari.
Per esempio, i concetti che rappresentano gli attributi divini, che al tempo stesso, devono determinare la struttura del mondo (p. es. bontà, grandezza, eternità).
Racchiude i principi che riguardano la distinzione di significato.
Utilizzando triangoli e quadrati mobili nelle figure è possibile chiarire il rapporto e la possibilità combinatoria dei termini.
Punto nodale di questa tradizione è la teoria della luce, secondo la quale la luce è considerata una sostanza autocreantesi e veicolo delle forze agenti in natura.
I fenomeni naturali si possono, pertanto, conoscere tramite le leggi della geometria, che sono quelle seguite dalla luce.
Al fine di migliorare le condizioni di vita della gente e rafforzare il cristianesimo, Bacone predica una riforma della chiesa e della società.
Allo scopo è necessario un sapere fondato sulla esperienzae metodologicamente valido.
Pertanto, nella sua opera Opus maius, egli elenca innanzitutto le quattro principali fonti di errore:
- una fede cieca in false autorità;
- l'abitudine, che salvaguarda ciò che è sbagliato;
- Pregiudizi della gente incolta;
- un sapere apparente, dietro il quale si cela l'ignoranza.
Alla teologia e alla filosofia del suo tempo Bacone rimprovera di utilizzare metodi non scientifici e di occuparsi di falsi problemi.
Quali rimedi al riguardo egli propone quattro ambiti del sapere:
- l'esegesi biblica e l'interpretazione dei testi losofici devono basarsi sulla conoscenza della lingua originale (richiesta rivoluzionaria per il suo tempo);
- la matematica è il fondamento delle scienze: essa è innata nell'uomo e non è possibile alcuna forma chiara di conoscenza senza di essa;
- sulla base del ruolo attribuito alla luce, l'ottica (perspectiva) diviene una delle scienze fondamentali attraverso la quale viene trasmessa applicazione di metodi matematici e speriMentali; - il sapere si costruisce sull'esperienza: affermazioni concernenti la natura necessitano di una sua conferma o confutazione;
conseguentemente, viene attribuita grande importanza all'esperimento;
Bacone riconosce, inoltre, un'esperienza interiore, l'illuminazione, che concerne lo spirituale e l'esperienza del divino.
Secondo Bacone facendo un uso corretto della ragione non può sorgere un conflitto fra teologia e scienza, poichè sia la verità della scienza razionale che la verità della rivelazione hanno fondamento nel sapere assoluto divino.
l'italiano BONAVENTURA DA BAGNOREGIO (Giovanni Fidanza; 1221 ca.-1274; dal 1257 ministro generale dell'ordine francescano) appartiene alla "scuola francescana più antica".
In posizione alla corrente dell'aristotelismo, egli si riferisce ad Agostino e al neoplatonismo.
Tuttavia, egli utilizza anche idee di Aristotele, del quale riconosce l'autorità nell'ambito delle scienze "terrene".
Peraltro, secondo Bonaventura, Aristotele ha, in ambito metafisico, trascurato l'essenziale, perché non ha considerato valida la dottrina platonica delle idee e, quindi, respinto anche l'idea degli archetipi di tutto l'esistente nell'intelletto divino.
Bonaventura sostiene una metafisica della luce ispirata al pensiero di Grossatesta, secondo la quale la luce costituisce la forma comune a tutti i corpi.
Tramite essa ha luogo la formazione della materia, con la costituzione di forme elementari, miste e spirituali.
Egli ritiene, pertanto, che ogni entità esistente sia composta da una pluralità di forme.
Le forme scaturiscono da ragioni seminali, che dall'inizio dei tempi furono poste da Dio nella materia.
La via della conoscenza per l'uomo conduce attraverso il mondo creato, nel quale egli riconosce la presenza di Dio.
Al riguardo, Bonaventura distingue, come livelli di conoscenza, contenuti che sono ombre, tracce o immagini del divino.
Nel suo Itinerarium mentis in Deum, Bonaventura descrive le tappe attraverso le quali è possibile giungere all'unione mistica con Dio.
Giunti al livello più alto, l'attività razionale si acquieta e l'animo viene totalmente compreso in Dio.
Il catalano RAIMONDO LULLO (1232-1315) rappresenta, nell'ambito della filosofia del suo tempo, una figura originale.
Le sue idee vennero, peraltro, riprese da Cusano e Bruno.
Leibniz diede rilievo al concetto lulliano di logica combinatoria.
Nell'Ars magna et ultima, Lullo illustra concetti, principi e metodi che costituiscono il fondamento di ogni scienza.
Si tratta di una "ars inveniendi veritatem", un'arte di ricercare la verità, che non si occupa solo di principi formali, bensì rincipi di verità del contenuto.
Lullo prende le mosse da principi assoluti (trascendenti) e relativi (relazioni oggettive), il cui rapporto di dipendenza viene dimostrato sulla base di leggi combinatorie.
A tal scopo, egli crea figure particolari.
Per esempio, i concetti che rappresentano gli attributi divini, che al tempo stesso, devono determinare la struttura del mondo (p. es. bontà, grandezza, eternità).
Racchiude i principi che riguardano la distinzione di significato.
Utilizzando triangoli e quadrati mobili nelle figure è possibile chiarire il rapporto e la possibilità combinatoria dei termini.
Scolatica II
Il tedesco
ALBERTO MAGNO (1206 ca.-1280),
chiamato anche, per il suo sapere enciclopedico,
"doctor universalis", ambì a fornire una
sintesi del patrimonio intellettuale, filosofico e
scientifico, dalla cultura greca in poi.
Egli commentò le opere di Aristotele, traendo elementi dai commentari greci e arabi della tradizione neoplatonica.
Fu, inoltre, uno dei più importanti naturalisti del tempo.
Alberto opera una netta distinzione fra questioni risolvibili tramite la ragione, e problemi di fede, che trovano fondamento nella rivelazione.
In quest'ottica, per esempio, non risulta possibile dare una risposta filosofica al problema dell'eternità del mondo, mentre tutti gli interrogativi accessibili alla ragione devono essere sottoposti a indagine razionale.
Ogni cosa è, nel suo essere e nella sua entità, prodotta da Dio.
Poiché egli è Somma Verità e Sommo Bene, ogni forma di conoscenza e ogni azione devono tendere a lui per poter raggiungere la propria realizzazione.
In polemica con Averroè, Alberto sostiene la teoria dell'immortalità delle anime individuali.
L'intelletto agente è parte costituente dell'anima e principio formale nell'uomo.
Esso è diverso in ogni singolo individuo, ma partecipe, quale emanazione dell'opera divina, dell'universale, e consente, in tal modo, una conoscenza oggettiva e universale.
L'anima è un tutto, dotato di diverse facoltà (vegetativa, sensitiva e razionale).
Secondo la cosmologia teorizzata da Alberto, la creazione deriva da livelli gerarchici di intelligenze prodotte dall'intelletto divino, che illumina tutte le sfere celesti, l'intelletto umano e, infine, la materia terrena.
Realtà primigenie, prodotte da Dio all'inizio della creazione, sono:
- la materia prima (il principio primo che agisce nel formarsi dei corpi), il tempo, il movimento, il cielo supremo, gli angeli.
L'etica albertiana pone l'accento sulla libera volontà dell'uomo.
Il compito etico consiste nel plasmare le passioni tramite l'esercizio della ragione.
La coscienza rappresenta un'istanza decisiva, che agisce sia a livello condotta di base, sia in in singoli casi concreti.
La disposizione morale, che induce l'uomo verso il Bene è la synteresis, ovvero la rerninescenza della pura esistenza originaria che precede il peccato originale.
TOMMASO D'AQUINO (1225-1274), che fu per alcuni anni allievo di Alberto Magno, è considerato il filosofo sistematico più importante del Medioevo.
suo merito consiste nell'aver messo in rapporto l'aristotelismo con la filosofia cristiana di derivazione agostiniana.
Nel XIX secolo la chiesa cattolica definì la sua opera come il fondamento della filosofia cristiana.
Fra i suoi lavori più vasti sono da ricordare, accanto alle diverse Quaestiones, in particolar modo la Summa contra gentiles e la Summa theologica.
La forma delle Quaestiones, che si ritrova anche nella Summa theologica, segue lo schema delle disputazioni universitarie: per ogni interrogativo vengono espressi argomenti "pro" e "sed contra", ai quali segue la relativa risposta (responsio); successivamente, sulla base della risposta, vengono esaminati singolarmente gli argomenti ("ad 1, ad 2").
Fede e ragione non sono in contrasto fra loro, poiché entrambe derivano da Dio.
Pertanto, anche filosofia e teologia non possono pervenire a verità differenti.
Differiscono, peraltro, nel metodo: la filosofia procede dalle cose create e giunge in tal modo a Dio; la teologia trae da Dio la sua origine.
Poiché la rivelazione trasmette all'uomo le verità che gli sono necessarie per ottenere la salvazione, esiste la possibilità di una indagine autonoma delle cose che non possono essere spiegate attraverso la rivelazione.
La filosofia adempie a importanti funzioni per la teologia, assicurando razionalmente e sostenendo i fondamenti della fede, poiché i dogmi sono sovrarazionali ma non irrazionali.
L'ontologia di Tommaso procede dalla molteplicità dell'esistenza che l'uomo percepisce: pietre, animali, uomini, e così via.
Riguardo ai principi che stanno alla base dell'esistenza, prevale la differenza fondamentale fra atto e potenza (o essere della possibilità).
A tutto l'esistente è dato di poter essere o anche non essere, di essere quindi, mutevole: una pietra grezza, per esempio, è, rispetto alla potenza, una statua, ma non è tale rispetto all'atto; se uno scultore l'ha modellata essa è, rispetto all'atto, una statua, ma la sua potenza consiste comunque, per esempio, nel potersi disgregare in polvere.
Se gli enti sono mutevoli, si pone il problema del principio uniformatore che li accomuna, sulla base del quale, nel loro cambiamento, sono una determinata sostanza. Tale principio è la forma.
La forma necessita del determinabile come principio di individuazione.
Ciò che in sé è indeterminato ma determinabile (plasmabile) è la materia.
Essa è anche la causa della molteplicità, in quanto la stessa forma può manifestarsi in diversi soggetti.
Egli commentò le opere di Aristotele, traendo elementi dai commentari greci e arabi della tradizione neoplatonica.
Fu, inoltre, uno dei più importanti naturalisti del tempo.
Alberto opera una netta distinzione fra questioni risolvibili tramite la ragione, e problemi di fede, che trovano fondamento nella rivelazione.
In quest'ottica, per esempio, non risulta possibile dare una risposta filosofica al problema dell'eternità del mondo, mentre tutti gli interrogativi accessibili alla ragione devono essere sottoposti a indagine razionale.
Ogni cosa è, nel suo essere e nella sua entità, prodotta da Dio.
Poiché egli è Somma Verità e Sommo Bene, ogni forma di conoscenza e ogni azione devono tendere a lui per poter raggiungere la propria realizzazione.
In polemica con Averroè, Alberto sostiene la teoria dell'immortalità delle anime individuali.
L'intelletto agente è parte costituente dell'anima e principio formale nell'uomo.
Esso è diverso in ogni singolo individuo, ma partecipe, quale emanazione dell'opera divina, dell'universale, e consente, in tal modo, una conoscenza oggettiva e universale.
L'anima è un tutto, dotato di diverse facoltà (vegetativa, sensitiva e razionale).
Secondo la cosmologia teorizzata da Alberto, la creazione deriva da livelli gerarchici di intelligenze prodotte dall'intelletto divino, che illumina tutte le sfere celesti, l'intelletto umano e, infine, la materia terrena.
Realtà primigenie, prodotte da Dio all'inizio della creazione, sono:
- la materia prima (il principio primo che agisce nel formarsi dei corpi), il tempo, il movimento, il cielo supremo, gli angeli.
L'etica albertiana pone l'accento sulla libera volontà dell'uomo.
Il compito etico consiste nel plasmare le passioni tramite l'esercizio della ragione.
La coscienza rappresenta un'istanza decisiva, che agisce sia a livello condotta di base, sia in in singoli casi concreti.
La disposizione morale, che induce l'uomo verso il Bene è la synteresis, ovvero la rerninescenza della pura esistenza originaria che precede il peccato originale.
TOMMASO D'AQUINO (1225-1274), che fu per alcuni anni allievo di Alberto Magno, è considerato il filosofo sistematico più importante del Medioevo.
suo merito consiste nell'aver messo in rapporto l'aristotelismo con la filosofia cristiana di derivazione agostiniana.
Nel XIX secolo la chiesa cattolica definì la sua opera come il fondamento della filosofia cristiana.
Fra i suoi lavori più vasti sono da ricordare, accanto alle diverse Quaestiones, in particolar modo la Summa contra gentiles e la Summa theologica.
La forma delle Quaestiones, che si ritrova anche nella Summa theologica, segue lo schema delle disputazioni universitarie: per ogni interrogativo vengono espressi argomenti "pro" e "sed contra", ai quali segue la relativa risposta (responsio); successivamente, sulla base della risposta, vengono esaminati singolarmente gli argomenti ("ad 1, ad 2").
Fede e ragione non sono in contrasto fra loro, poiché entrambe derivano da Dio.
Pertanto, anche filosofia e teologia non possono pervenire a verità differenti.
Differiscono, peraltro, nel metodo: la filosofia procede dalle cose create e giunge in tal modo a Dio; la teologia trae da Dio la sua origine.
Poiché la rivelazione trasmette all'uomo le verità che gli sono necessarie per ottenere la salvazione, esiste la possibilità di una indagine autonoma delle cose che non possono essere spiegate attraverso la rivelazione.
La filosofia adempie a importanti funzioni per la teologia, assicurando razionalmente e sostenendo i fondamenti della fede, poiché i dogmi sono sovrarazionali ma non irrazionali.
L'ontologia di Tommaso procede dalla molteplicità dell'esistenza che l'uomo percepisce: pietre, animali, uomini, e così via.
Riguardo ai principi che stanno alla base dell'esistenza, prevale la differenza fondamentale fra atto e potenza (o essere della possibilità).
A tutto l'esistente è dato di poter essere o anche non essere, di essere quindi, mutevole: una pietra grezza, per esempio, è, rispetto alla potenza, una statua, ma non è tale rispetto all'atto; se uno scultore l'ha modellata essa è, rispetto all'atto, una statua, ma la sua potenza consiste comunque, per esempio, nel potersi disgregare in polvere.
Se gli enti sono mutevoli, si pone il problema del principio uniformatore che li accomuna, sulla base del quale, nel loro cambiamento, sono una determinata sostanza. Tale principio è la forma.
La forma necessita del determinabile come principio di individuazione.
Ciò che in sé è indeterminato ma determinabile (plasmabile) è la materia.
Essa è anche la causa della molteplicità, in quanto la stessa forma può manifestarsi in diversi soggetti.
Scolatica III
Forma e materia
non costituiscono autonomamente
un esistente, che potrebbe scindersi; esse
sono ciò tramite cui (quo est) un esistente è ciò
che è (quod est).
La sostanza è il tutto, composto di forma e materia.
Questo "quod" dell'esistente è la sua essenza (o quidditas).
L'essenza è realmente nelle sostanze individuali ed è concepita nella veste di concetti universali.
L'essenza si riferisce alla totalità di forma e materia, ma si differenzia dalla sostanza, in quanto può ammettere determinazioni casuali (accidenti; p. es. Socrate è calvo).
Tommaso introduce un'ulteriore, decisiva distinzione:
quella fra essere ed essenza.
È possibile conoscere l'essenza di qualcosa pur senza sapere se tale cosa esiste.
L'essere è il principio tramite il quale l'esistenza è tale.
L'atto dell'essere (actus essendi) rende esistente l'essenza.
L'essere ha pertanto un rapporto nei confronti dell'essenza tale a quello dell'atto verso la potenza.
L'essere è pura attualità che si vincola all'essenza.
Il problema dei concetti che vengono assegnati a ogni esistente come predicati, conduce Tommaso a formulare l'elenco dei "trascendentali":
a ogni esistente è attribuibile l'ens in considerazione dell'actus essendi; inoltre, res (realtà) designa il contenuto alla luce dell'essenza; a causa della sua indivisibilità interna l'esistente é uno (unum), ed è qualcosa (aliquid) a diffenza di altro.
I trascendentali Vero (verum) e Bene (bonum) sl riferiscono alla concordanza di due esistenti, ovvero l'anima e un altro esistente.
Pertanto "bene" è la determinazione dell'adeguazione alla facoltà dell'impulso, "vero" dell'adeguazione alla facoltà del conoscere.
La definizione di verità coniata da Tommaso sarà, pertanto:
"Verità è l'adeguazione dell'intelletto e della cosa"
(veritas est adaequatio rei et intellectus).
Un concetto fondamentale dell'ontologia tomista è quello dell'ordinamento di tutto l'essere.
A ogni esistente Dio assegna collocazione e fine all'interno dell'ordine universale.
In ogni Cosa creata essenza ed esistenza non sono coincidenti; esse coincidono esclusivamente in Dio.
L'essere di Dio è perfezione pura, al punto che non è possibile aggiungere ne disconoscere qualcosa alla sua semplicità.
L'esistenza di tutto il creato viene fondata da Dio.
Gli spiriti creati (angeli) si differenziano da Dio, in quanto già in loro l'esistenza è qualcosa di diverso dall'essenza, nonostante quest'ultima sia immateriale (quindi pura forma).
Dall'intervento della materia si originano diverse sostanze individuali, all'interno delle quali esistenza ed essenza, forma e sostanza si differenziano.
L'anima umana, immateriale e immortale, conserva pertanto l'individualità anche dopo la separazione dal corpo.
Tommaso fornisce cinque argomentazioni (quinque viae) a dimostrazione dell'esistenza di Dio.
Poiché la conoscenza dell'uomo (quale essere corporeo) procede dall'esperienza sensibile, egli respinge argomentazioni aprioristiche sull'esistenza di Dio.
Le sue argomentazioni traggono origine dall'esperienza e si fondano sulla negazione di un regressus in infinitum.
- Ogni moto e ogni mutamento necessitano di un motore.
Poiché, però, una serie di motori mobili non può risalire sino all'infinito, in quanto, altrimenti, non esisterebbe alcun inizio al movimento, deve esistere un primo motore, che a sua volta è immobile, e questo è Dio.
- Ogni effetto ha una causa.
Poiché, però, nulla è causa di se stesso (in quanto dovrebbe, per logica, precedere se stesso) e la successione delle cause non può procedere all'infinito, deve esistere una causa prima incausata: Dio.
- Si trovano cose che potrebbero esistere e non esistere.
Se tutto fosse tale, sarebbe possibile, a un certo punto, che nulla più esistesse, ma allora nulla potrebbe neppure cominciare a esistere.
Conseguentemente, esistono cose che sono necessarie o per sé o tramite un'altra.
Poiché la successione delle cose che traggono necessità da un'altra non può procedere all'infinito deve esistere un primo essere in sé necessario: Dio.
- In ogni cosa esistono un più e un meno; è possibile sostenere questo solo se esiste un criterio che racchiude questa determinazione come perfezione: Dio.
- Cose non dotate di ragione necessitano, per raggiungere uno scopo, di un ordinatore che stabilisca il fine (la freccia, p. es., h bisogno dell'arciere).
La disposizione finalistica massima del cosmo necessita pertanto di Dio, quale massima mente ordinatrice, che stabilisce i fini.
Dio ha creato il mondo perfetto nel suo complesso e, pertanto, il Male che esiste nel mondo non deriva da lui.
Poiché tutto ciò che è dotato di esistenza proviene Dio, ne consegue che al Male non è attribuibile un'effettiva esistenza.
Tommaso lo definisce, quindi, come mancanza (privatio) come assenza di un Bene che dovrebbe essere proprio di un essere.
Se il Male viene inteso come mancanza esso necessita sempre di un soggetto, al quale esso, appunto, manca: il Bene.
Perciò il Male non può esaurire tutto l'essere, poichè si autoeliminerebbe.
La sostanza è il tutto, composto di forma e materia.
Questo "quod" dell'esistente è la sua essenza (o quidditas).
L'essenza è realmente nelle sostanze individuali ed è concepita nella veste di concetti universali.
L'essenza si riferisce alla totalità di forma e materia, ma si differenzia dalla sostanza, in quanto può ammettere determinazioni casuali (accidenti; p. es. Socrate è calvo).
Tommaso introduce un'ulteriore, decisiva distinzione:
quella fra essere ed essenza.
È possibile conoscere l'essenza di qualcosa pur senza sapere se tale cosa esiste.
L'essere è il principio tramite il quale l'esistenza è tale.
L'atto dell'essere (actus essendi) rende esistente l'essenza.
L'essere ha pertanto un rapporto nei confronti dell'essenza tale a quello dell'atto verso la potenza.
L'essere è pura attualità che si vincola all'essenza.
Il problema dei concetti che vengono assegnati a ogni esistente come predicati, conduce Tommaso a formulare l'elenco dei "trascendentali":
a ogni esistente è attribuibile l'ens in considerazione dell'actus essendi; inoltre, res (realtà) designa il contenuto alla luce dell'essenza; a causa della sua indivisibilità interna l'esistente é uno (unum), ed è qualcosa (aliquid) a diffenza di altro.
I trascendentali Vero (verum) e Bene (bonum) sl riferiscono alla concordanza di due esistenti, ovvero l'anima e un altro esistente.
Pertanto "bene" è la determinazione dell'adeguazione alla facoltà dell'impulso, "vero" dell'adeguazione alla facoltà del conoscere.
La definizione di verità coniata da Tommaso sarà, pertanto:
"Verità è l'adeguazione dell'intelletto e della cosa"
(veritas est adaequatio rei et intellectus).
Un concetto fondamentale dell'ontologia tomista è quello dell'ordinamento di tutto l'essere.
A ogni esistente Dio assegna collocazione e fine all'interno dell'ordine universale.
In ogni Cosa creata essenza ed esistenza non sono coincidenti; esse coincidono esclusivamente in Dio.
L'essere di Dio è perfezione pura, al punto che non è possibile aggiungere ne disconoscere qualcosa alla sua semplicità.
L'esistenza di tutto il creato viene fondata da Dio.
Gli spiriti creati (angeli) si differenziano da Dio, in quanto già in loro l'esistenza è qualcosa di diverso dall'essenza, nonostante quest'ultima sia immateriale (quindi pura forma).
Dall'intervento della materia si originano diverse sostanze individuali, all'interno delle quali esistenza ed essenza, forma e sostanza si differenziano.
L'anima umana, immateriale e immortale, conserva pertanto l'individualità anche dopo la separazione dal corpo.
Tommaso fornisce cinque argomentazioni (quinque viae) a dimostrazione dell'esistenza di Dio.
Poiché la conoscenza dell'uomo (quale essere corporeo) procede dall'esperienza sensibile, egli respinge argomentazioni aprioristiche sull'esistenza di Dio.
Le sue argomentazioni traggono origine dall'esperienza e si fondano sulla negazione di un regressus in infinitum.
- Ogni moto e ogni mutamento necessitano di un motore.
Poiché, però, una serie di motori mobili non può risalire sino all'infinito, in quanto, altrimenti, non esisterebbe alcun inizio al movimento, deve esistere un primo motore, che a sua volta è immobile, e questo è Dio.
- Ogni effetto ha una causa.
Poiché, però, nulla è causa di se stesso (in quanto dovrebbe, per logica, precedere se stesso) e la successione delle cause non può procedere all'infinito, deve esistere una causa prima incausata: Dio.
- Si trovano cose che potrebbero esistere e non esistere.
Se tutto fosse tale, sarebbe possibile, a un certo punto, che nulla più esistesse, ma allora nulla potrebbe neppure cominciare a esistere.
Conseguentemente, esistono cose che sono necessarie o per sé o tramite un'altra.
Poiché la successione delle cose che traggono necessità da un'altra non può procedere all'infinito deve esistere un primo essere in sé necessario: Dio.
- In ogni cosa esistono un più e un meno; è possibile sostenere questo solo se esiste un criterio che racchiude questa determinazione come perfezione: Dio.
- Cose non dotate di ragione necessitano, per raggiungere uno scopo, di un ordinatore che stabilisca il fine (la freccia, p. es., h bisogno dell'arciere).
La disposizione finalistica massima del cosmo necessita pertanto di Dio, quale massima mente ordinatrice, che stabilisce i fini.
Dio ha creato il mondo perfetto nel suo complesso e, pertanto, il Male che esiste nel mondo non deriva da lui.
Poiché tutto ciò che è dotato di esistenza proviene Dio, ne consegue che al Male non è attribuibile un'effettiva esistenza.
Tommaso lo definisce, quindi, come mancanza (privatio) come assenza di un Bene che dovrebbe essere proprio di un essere.
Se il Male viene inteso come mancanza esso necessita sempre di un soggetto, al quale esso, appunto, manca: il Bene.
Perciò il Male non può esaurire tutto l'essere, poichè si autoeliminerebbe.
Scolatica IV
L'uomo rappresenta
l'unità sostanziale di anima
(forma) e corpo (materia).
Esse non sono separabili, ma, al contrario, costituiscono l'unità della sostanza umana che è, dunque, sempre determinata in senso spirituale e corporeo.
Nonostante l'anima continui a esistere come anima separata anche dopo l'allontanamento dal corpo conseguente alla morte, e sia quindi immortale, quale anima umana essa necessita del corpo, poiché ha bisogno, per la conoscenza, della In percezione sensibile.
In tal modo, l'uomo si colloca al centro della creazione: egli partecipa, tramite l'intelletto, del puro spirito; tramite il corpo, del materiale.
La forma dell'anima umana è posta al termine di una struttura gerarchica che giunge all'uomo dalle forme inanimate, attraverso le piante e gli animali.
L'anima racchiude in sé le facoltà vegetativa (energia vitale), sensitiva (percezione sensoriale), appetitivi (impulso istintivo), mobile (movimento) e razionale (intelletto).
La facoltà sensoriale si suddivide, a sua volta, nei singoli sensi: senso comune (che comprende i dati dei singoli sensi), immaginazione (che conserva le singole immagini sensoriali), facoltà di giudizio (giudizio riferito a situazioni concrete) e memoria attiva.
L'intelletto si suddivide in possibile (intellectus possibilis) e agente (intellectus agens); con ciò viene operata una distinzione fra la facoltà del conoscere nell'uomo e la conoscenza effettivamente compiuta.
Il processo conoscitivo avviene come segue: innanzitutto un corpo produce un' immagine in un singolo organo sensoriale; l'immagine perviene quindi al senso comune per essere trattenuta, quale immagine singola (species sensibilis), nell'immaginazione.
Fino a questo punto si rimane nella sfera del sensibile.
Poiché, però, l'intelletto possibile si riferisce all'universale (species intelligibilis), entra in azione l'intelletto agente; esso astrae la forma universale dalle singole rappresentazioni sensibili rendendo così possibile la conoscenza da parte dell'intelletto possibile.
La determinazione trascendentale "buono", costituisce l'ggetto di indagine dell'ontologia e dell'etica tomista.
Buono è un esistente che rappresenta per un altro esistente un perfezionamento e, dunque, il fine del suo tendere.
Ciò che vale per Aristotele vale, pertanto, anche per Tommaso: il Bene è ciò verso cui un qualcosa tende in conformità alla propria essenza.
Il fine supremo dell'uomo, per il quale sono strumenti i singoli fini, è la felicità (beatitudo) poichè l'uomo conformemente alla sua forma, è determinato dall'anima razionale, può conseguire la felicità tramite l'attività razionale dell'anima.
Per quel che riguarda le virtù, Tommaso distingue fra virtù teologiche e le virtù cardinali.
Le prime sono accessibili all'uomo solo tramite la grazia divina (fede, amore, speranza), laddove l'amore dispone tutte le azioni umane verso il loro fine ultimo divino.
Le virtù cardinali sono definite come la miglior disposizione delle facoltà naturali.
All'intelletto è attribuita la sapienza, alla volontà la giustizia, all'impulso la fortezza e al desiderio la temperanza.
Le virtù determinano la disposizione interiore dell'uomo; l'ordine esteriore e le azioni vengono governati da leggi.
Il sommo legislatore è Dio, poiché egli stabilisce l'ordine universale.
La lex aeterna è la sapienza divina, che tutto guida.
L'intelletto umano partecipa a essa tramite la lex naturalis.
Il libero arbitrio non viene ostacolato dalla legge divina che agisce come necessità interiore solo nell'ambito della natura non dotata di ragione.
Per l'uomo, essa ha il carattere di un principio normativo.
Egli partecipa alla provvidenza divina in modo tale da poter scegliere per sé e anche per altri.
Dalla legge naturale derivano i principi universali e sommi dell'agire.
Dal riconoscimento che è bene ciò verso cui tutto tende, si delinea il principio sommo della ragione pratica: bisogna fare il Bene ed evitare il Male.
Poiché la legge naturale indica solo i principi, è necessaria la lex humana: tale legge deve fondarsi sul diritto naturale e avere come fondamento il bene della comunità.
Il significato del collegamento compiuto da Tommaso d'Aquino fra l'aristotelismo e la filosofia cristiana appare evidente quando si osserva il pensiero che dominava all'interno delle università, dove aristotelismo e teologia sembravano divenire inconciliabili.
Il recupero pedissequo di Aristotele operato nel XIII secolo condusse, nel caso del cosiddetto aristotelismo radicale (averroismo) sostenuto dal fiammingo SIGIERI DI BRABANTE (1240-1284) e dal danese BOEZIO DI DACIA (XIII sec.), a un deisivo rifiuto della commistione di teologia e filosofia: argomenti filosofici permangono anche dove cadono in contraddizione con la teologia.
L'affermata autonomia della filosofia e l'inconciliabilità di alcuni insegnamenti aristotelici con il dogma cristiano condussero temporaneamente alla proibizione di determinati scritti da parte delle autorità ecclesiastiche e alla condanna di alcune tesi filosofiche per opera del vescovo di Parigi (1277).
Esse non sono separabili, ma, al contrario, costituiscono l'unità della sostanza umana che è, dunque, sempre determinata in senso spirituale e corporeo.
Nonostante l'anima continui a esistere come anima separata anche dopo l'allontanamento dal corpo conseguente alla morte, e sia quindi immortale, quale anima umana essa necessita del corpo, poiché ha bisogno, per la conoscenza, della In percezione sensibile.
In tal modo, l'uomo si colloca al centro della creazione: egli partecipa, tramite l'intelletto, del puro spirito; tramite il corpo, del materiale.
La forma dell'anima umana è posta al termine di una struttura gerarchica che giunge all'uomo dalle forme inanimate, attraverso le piante e gli animali.
L'anima racchiude in sé le facoltà vegetativa (energia vitale), sensitiva (percezione sensoriale), appetitivi (impulso istintivo), mobile (movimento) e razionale (intelletto).
La facoltà sensoriale si suddivide, a sua volta, nei singoli sensi: senso comune (che comprende i dati dei singoli sensi), immaginazione (che conserva le singole immagini sensoriali), facoltà di giudizio (giudizio riferito a situazioni concrete) e memoria attiva.
L'intelletto si suddivide in possibile (intellectus possibilis) e agente (intellectus agens); con ciò viene operata una distinzione fra la facoltà del conoscere nell'uomo e la conoscenza effettivamente compiuta.
Il processo conoscitivo avviene come segue: innanzitutto un corpo produce un' immagine in un singolo organo sensoriale; l'immagine perviene quindi al senso comune per essere trattenuta, quale immagine singola (species sensibilis), nell'immaginazione.
Fino a questo punto si rimane nella sfera del sensibile.
Poiché, però, l'intelletto possibile si riferisce all'universale (species intelligibilis), entra in azione l'intelletto agente; esso astrae la forma universale dalle singole rappresentazioni sensibili rendendo così possibile la conoscenza da parte dell'intelletto possibile.
La determinazione trascendentale "buono", costituisce l'ggetto di indagine dell'ontologia e dell'etica tomista.
Buono è un esistente che rappresenta per un altro esistente un perfezionamento e, dunque, il fine del suo tendere.
Ciò che vale per Aristotele vale, pertanto, anche per Tommaso: il Bene è ciò verso cui un qualcosa tende in conformità alla propria essenza.
Il fine supremo dell'uomo, per il quale sono strumenti i singoli fini, è la felicità (beatitudo) poichè l'uomo conformemente alla sua forma, è determinato dall'anima razionale, può conseguire la felicità tramite l'attività razionale dell'anima.
Per quel che riguarda le virtù, Tommaso distingue fra virtù teologiche e le virtù cardinali.
Le prime sono accessibili all'uomo solo tramite la grazia divina (fede, amore, speranza), laddove l'amore dispone tutte le azioni umane verso il loro fine ultimo divino.
Le virtù cardinali sono definite come la miglior disposizione delle facoltà naturali.
All'intelletto è attribuita la sapienza, alla volontà la giustizia, all'impulso la fortezza e al desiderio la temperanza.
Le virtù determinano la disposizione interiore dell'uomo; l'ordine esteriore e le azioni vengono governati da leggi.
Il sommo legislatore è Dio, poiché egli stabilisce l'ordine universale.
La lex aeterna è la sapienza divina, che tutto guida.
L'intelletto umano partecipa a essa tramite la lex naturalis.
Il libero arbitrio non viene ostacolato dalla legge divina che agisce come necessità interiore solo nell'ambito della natura non dotata di ragione.
Per l'uomo, essa ha il carattere di un principio normativo.
Egli partecipa alla provvidenza divina in modo tale da poter scegliere per sé e anche per altri.
Dalla legge naturale derivano i principi universali e sommi dell'agire.
Dal riconoscimento che è bene ciò verso cui tutto tende, si delinea il principio sommo della ragione pratica: bisogna fare il Bene ed evitare il Male.
Poiché la legge naturale indica solo i principi, è necessaria la lex humana: tale legge deve fondarsi sul diritto naturale e avere come fondamento il bene della comunità.
Il significato del collegamento compiuto da Tommaso d'Aquino fra l'aristotelismo e la filosofia cristiana appare evidente quando si osserva il pensiero che dominava all'interno delle università, dove aristotelismo e teologia sembravano divenire inconciliabili.
Il recupero pedissequo di Aristotele operato nel XIII secolo condusse, nel caso del cosiddetto aristotelismo radicale (averroismo) sostenuto dal fiammingo SIGIERI DI BRABANTE (1240-1284) e dal danese BOEZIO DI DACIA (XIII sec.), a un deisivo rifiuto della commistione di teologia e filosofia: argomenti filosofici permangono anche dove cadono in contraddizione con la teologia.
L'affermata autonomia della filosofia e l'inconciliabilità di alcuni insegnamenti aristotelici con il dogma cristiano condussero temporaneamente alla proibizione di determinati scritti da parte delle autorità ecclesiastiche e alla condanna di alcune tesi filosofiche per opera del vescovo di Parigi (1277).
Scolatica V
L'inglese
GIOVANNI DUNS SCOTO (1265-1308)
rappresenta la cosiddetta
"più giovane scuola francescana".
Per l'acutezza delle sue argomentazioni e il vaglio critico a cui sottopose le dottrine dei suoi predecessori venne soprannominato Il "doctor subtilis".
Il nostro sapere è certo laddove esso può essere ricondotto all'esperienza sensibile.
Delle cose sovrannaturali è però possibile conseguire, in tal modo, solo una conoscenza indeterminata e indiretta.
Pertanto, l'uomo necessita, per l'ambito non accessibile alla ragione naturale, della rivelazione.
Oggetto della metafisica non è Dio, ma l'essere.
Essa perviene a un concetto astratto del divino, la teologia a un concetto concreto.
L'essere in quanto tale è il concetto più universale, poiché deve poter essere asserito di ogni esistente nello stesso senso univocamente.
Da ciò deriva che l'essere non contiene in sé alcuna altra determinazione.
Esso viene perciò asserito di Dio e del mondo allo stesso modo, non solo per analogia.
A differenza di Tommaso, Duns Scoto non considera la materia il principio individualizzante; l'individuale è, piuttosto, un modo proprio dell'essere (né forma né materia): la haecceitas (ecceità).
Essa determina l'individuo, trasformando la natura comune (forma ultima) "ultima realtà dell'ente", nell'individuo.
Il valore attribuito alla volontà viene riferito da Duns Scoto anche a Dio.
Tutta la creazione deriva dalla volontà divina; tuttavia, Dio vuole tutto ciò che è logicamente privo di contraddizioni.
Anche l'ordine morale dipende dalla volontà divina:
una cosa è buona perché voluta da Dio.
Al primato della volontà corrisponde il significato attribuito all'amore.
L'uomo trova la perfezione nel sommo amore divino, che costituisce anche il fondamento del senso morale.
Il nosrto agire è buono se si fonda sull'amore verso DIO.
La mistica medievale, che si fonda sull'interiorità dell'esperienza di Dio e sull'unione con il divino, raggiunse il suo apice nel XIV secolo.
Il suo esponente di maggior rilievo fu il tedesco
JOHANNES (MEISTER) ECKHART (1260 ca.-1328),
che subì influenze da parte della teologia scolastica e della filosofia.
La sua opera è ricca in egual misura di esperienza mistica e indagine filosofica.
Eckhart redasse opere in latino e in tedesco; i sermoni, stesi in tedesco, si contraddistinguono per la scelta di una lingua particolarmente incalzante e dura, commisurata al pubblico degli ascoltatori.
Nelle prime lezioni tenute a Parigi, Eckhart dà una risposta all'interrogativo concernente il rapporto fra il conoscere e l'essere in Dio, ponendo la conoscenza a un livello superiore: Dio è in quanto conosce.
Il Vangelo secondo Giovanni si apre con le parole: «In principio era il Verbo», e non: «In principio era l'essere».
Con ciò, Eckhart sottolinea l'originaria attività del conoscere, che crea senza essere stato, a sua volta, creato.
Peraltro Dio è, naturalmente, anche essere; Eckhart si propone di chiarire che Dio non ha essere, come è proprio dell'ente che è stato creato, bensì è essere egli stesso e tutto l'esistente è nell'essere di Dio, che mantiene ogni cosa in essere; senza di lui, le cose sono puro nulla.
L'uomo partecipa in Dio, in quanto la parte più intima della sua anima contiene una scintilla (scintilla animae) del divino.
Tramite essa può compiersi l'unione con Dio se l'uomo si abbandona interamente a questa e ne trae alimento di vita.
L'anima è pronta a ricevere l'essenza divina, poiché essa è la sede della nascita di Dio nell'uomo.
Dio manifesta la propria essenza tramite il Figlio, che è il suo Verbo, e che, a sua volta, si manifesta nell'anima:
«Il Padre genera il Figlio nell'eterno conoscere, ed esattamente così il Padre genera il Figlio nell'anima come nella sua propria natura ed egli lo genera come proprio dell anima...»
Dio dà all'uomo, purché retto e buono, quel che diede al Figlio.
Nella persona moralmente integra, la bontà rinasce quale parola divina.
Fra il Bene creatore (Dio padre) e il Bene creato sussiste una differenza di persona, non di natura.
"più giovane scuola francescana".
Per l'acutezza delle sue argomentazioni e il vaglio critico a cui sottopose le dottrine dei suoi predecessori venne soprannominato Il "doctor subtilis".
Il nostro sapere è certo laddove esso può essere ricondotto all'esperienza sensibile.
Delle cose sovrannaturali è però possibile conseguire, in tal modo, solo una conoscenza indeterminata e indiretta.
Pertanto, l'uomo necessita, per l'ambito non accessibile alla ragione naturale, della rivelazione.
Oggetto della metafisica non è Dio, ma l'essere.
Essa perviene a un concetto astratto del divino, la teologia a un concetto concreto.
L'essere in quanto tale è il concetto più universale, poiché deve poter essere asserito di ogni esistente nello stesso senso univocamente.
Da ciò deriva che l'essere non contiene in sé alcuna altra determinazione.
Esso viene perciò asserito di Dio e del mondo allo stesso modo, non solo per analogia.
A differenza di Tommaso, Duns Scoto non considera la materia il principio individualizzante; l'individuale è, piuttosto, un modo proprio dell'essere (né forma né materia): la haecceitas (ecceità).
Essa determina l'individuo, trasformando la natura comune (forma ultima) "ultima realtà dell'ente", nell'individuo.
Il valore attribuito alla volontà viene riferito da Duns Scoto anche a Dio.
Tutta la creazione deriva dalla volontà divina; tuttavia, Dio vuole tutto ciò che è logicamente privo di contraddizioni.
Anche l'ordine morale dipende dalla volontà divina:
una cosa è buona perché voluta da Dio.
Al primato della volontà corrisponde il significato attribuito all'amore.
L'uomo trova la perfezione nel sommo amore divino, che costituisce anche il fondamento del senso morale.
Il nosrto agire è buono se si fonda sull'amore verso DIO.
La mistica medievale, che si fonda sull'interiorità dell'esperienza di Dio e sull'unione con il divino, raggiunse il suo apice nel XIV secolo.
Il suo esponente di maggior rilievo fu il tedesco
JOHANNES (MEISTER) ECKHART (1260 ca.-1328),
che subì influenze da parte della teologia scolastica e della filosofia.
La sua opera è ricca in egual misura di esperienza mistica e indagine filosofica.
Eckhart redasse opere in latino e in tedesco; i sermoni, stesi in tedesco, si contraddistinguono per la scelta di una lingua particolarmente incalzante e dura, commisurata al pubblico degli ascoltatori.
Nelle prime lezioni tenute a Parigi, Eckhart dà una risposta all'interrogativo concernente il rapporto fra il conoscere e l'essere in Dio, ponendo la conoscenza a un livello superiore: Dio è in quanto conosce.
Il Vangelo secondo Giovanni si apre con le parole: «In principio era il Verbo», e non: «In principio era l'essere».
Con ciò, Eckhart sottolinea l'originaria attività del conoscere, che crea senza essere stato, a sua volta, creato.
Peraltro Dio è, naturalmente, anche essere; Eckhart si propone di chiarire che Dio non ha essere, come è proprio dell'ente che è stato creato, bensì è essere egli stesso e tutto l'esistente è nell'essere di Dio, che mantiene ogni cosa in essere; senza di lui, le cose sono puro nulla.
L'uomo partecipa in Dio, in quanto la parte più intima della sua anima contiene una scintilla (scintilla animae) del divino.
Tramite essa può compiersi l'unione con Dio se l'uomo si abbandona interamente a questa e ne trae alimento di vita.
L'anima è pronta a ricevere l'essenza divina, poiché essa è la sede della nascita di Dio nell'uomo.
Dio manifesta la propria essenza tramite il Figlio, che è il suo Verbo, e che, a sua volta, si manifesta nell'anima:
«Il Padre genera il Figlio nell'eterno conoscere, ed esattamente così il Padre genera il Figlio nell'anima come nella sua propria natura ed egli lo genera come proprio dell anima...»
Dio dà all'uomo, purché retto e buono, quel che diede al Figlio.
Nella persona moralmente integra, la bontà rinasce quale parola divina.
Fra il Bene creatore (Dio padre) e il Bene creato sussiste una differenza di persona, non di natura.