"Saper leggere il contratto di lavoro"

Il contratto di lavoro contiene tutte le informazioni riguardanti il rapporto tra dipendente e azienda.
Sovente si tende a non leggere il contratto in tutte le sue parti per svariati motivi, per esempio perché c'è troppo da leggere
oppure perché il linguaggio tecnico-giuridico utilizzato per redigerlo risulta di difficile comprensione.
Purtroppo c'è la tendenza ad informarsi di quanto c'è scritto nel contratto solo al presentarsi di controversie col datore di lavoro, per qualunque motivo.
Tra gli scopi di questo sito c'è la volontà di informare, nella maniera più comprensibile possibile,
sui diritti e sui doveri contenuti nei contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL).
Qui di seguito trovate, divisi per categoria, gli argomenti più importanti che compongono i contratti nazionali
e che vanno conosciuti prima di apporre la propria firma.


1.ASSENZE, PERMESSI E ASPETTATIVE

Esistono molti motivi per cui un lavoratore può chiedere di diritto all’azienda periodi più o meno lunghi di assenza: si va dal permesso della durata di un giorno al congedo di anni. E’ importante conoscere la casistica precisa per sapere quando si ha diritto anche alla retribuzione e quando invece si ha diritto solo all’assenza giustificata.


A) Motivi Personali
Si ha diritto a tre giorni complessivi di permesso retribuito all’anno in caso di morte o grave infermità del coniuge o di un parente entro il secondo grado (con estensione anche ad altri, se fanno parte della famiglia ANAGRAFICA).
Per la legge il grado di parentela si computa prima risalendo all’avo comune e poi contando i “passaggi”, così i parenti di primo grado sono solo i genitori e i figli. I fratelli sono parenti di SECONDO grado, mentre i cugini sono parenti di TERZO grado.
Per altri motivi familiari di particolare gravità si ha diritto a un periodo di congedo di massimo 2 anni (possono essere continuativi o frazionati) nell’arco della vita lavorativa.

B) Matrimonio
In occasione del proprio matrimonio si ha diritto a quindici giorni di congedo RETRIBUITO.

C) Esami E Diritto Allo Studio
I dipendenti che frequentano corsi di studio (scuola primaria, secondaria, università, scuola professionale) hanno diritto ad un permesso retribuito per le giornate in cui si svolgono gli esami. A questi giorni di permesso ne vanno aggiunti altri 5 all’anno per preparare gli esami. Anche questi giorni sono retribuiti.
Durante l’arco della vita lavorativa si ha diritto a un congedo continuativo o frazionato, della durata massima di 11 mesi, per conseguire un titolo di studio o per seguire corsi di formazione di un ambito diverso a quello dell’attività dell’azienda per la quale si presta la propria opera. Questo congedo NON è retribuito e può essere chiesto solo a partire dal quinto anno di anzianità d’azienda.

D) Elezioni – Funzioni Pubbliche
Se si adempiono funzioni durante i periodo elettorali (scrutatore, presidente di seggio, ecc.) si ha diritto a un permesso retribuito per tutta la durata dell’ufficio, e se questo comprende festivi o giorni non lavorativi sono dovuti gli straordinari.
In caso di elezione in funzioni pubbliche (Parlamentare, Sindaco, Consigliere comunale o provinciale, ecc.) si ha diritto a essere collocati in aspettativa NON retribuita per tutta la durata del mandato.

E) Donazioni Di Sangue E Midollo Osseo
Chi dona il sangue ha diritto a una giornata di riposo retribuito a patto che vengano donati almeno 250 gr. Per la donazione di midollo osseo il permesso retribuito può essere esteso per tutto il tempo necessario al completamento degli esami di idoneità e compatibilità.

F) Volontariato
Rientra in questa categoria chi è volontario della Protezione Civile e del Soccorso Alpino. L’assenza può essere dovuta all’espletamento delle funzioni di soccorso (massimo 90 giorni all’anno, a blocchi di massimo 30 giorni) o di esercitazione (massimo 30 giorni all’anno, a blocchi di massimo 10 giorni). In caso di emergenza nazionale questi limiti possono essere elevati. Le assenze dal lavoro sono retribuite ma l’onere è a carico del Fondo della Protezione Civile.

G) Cura Della Tossicodipendenza
In caso di tossicodipendenza si ha diritto ad un’aspettativa non retribuita di massimo 3 anni per usufruire dei programmi di cura. I familiari di un tossicodipendente hanno diritto ad un’aspettativa non retribuita di massimo 3 mesi per l’aiuto concreto e morale al proprio congiunto. Questo periodo è però una tantum e non è possibile usufruirne per più di una volta.

H) Portatori Di Handicap
Chi ha un handicap GRAVE ha diritto a 2 ore di permesso retribuito al giorno e a 3 giorni di permesso (anch’esso retribuito) al mese. Questi 3 giorni retribuiti spettano anche ai parenti che accudiscono portatori di handicap grave. Nel caso che il rapporto di parentela sia quello di genitore-figlio c’è un diritto supplementare: si può chiedere un congedo di massimo due anni. In questo caso la retribuzione è a carico dell’ente previdenziale (INPS).




2.ASSISTENZA SANITARIA INTEGRATIVA

A favore dei quadri è prevista un’assistenza integrativa del Servizio Sanitario Nazionale previa iscrizione alla cassa assistenza sanitaria “Qu.A.S.”. All’azienda è fatto carico di: tassa di prima iscrizione e di parte della quota annuale. Al quadro è fatto carico della parte rimanente della quota annua (la parte a carico dell’azienda è quella più onerosa).
Per gli altri lavoratori dipendenti a tempo indeterminato (sia full-time che part-time) è previsto il Fondo di Assistenza Integrativa. La tassa di iscrizione iniziale e le successive quote sono interamente a carico dell’azienda.

3.ASSUNZIONI

Quando un’azienda procede con l’assunzione di un lavoratore deve adempiere ad alcune formalità. In particolare, l’assunzione deve risultare da un atto scritto in doppia copia: una da conservare presso l’archivio aziendale e una da consegnare al neodipendente. Questo documento deve contenere obbligatoriamente indicazioni riguardo a: data di assunzione, unità di assegnazione, tipo e durata del rapporto di lavoro (comprensiva dell’eventuale periodo di prova), inquadramento, livello, qualifica e retribuzione del lavoratore.
Anche al dipendente sono richieste delle formalità, in particolare deve fornire dei documenti come: certificato di nascita, attestati degli studi compiuti, libretto di lavoro.
L’eventuale periodo di prova ha una durata massima, a seconda del livello: da 30 giorni per il 6° e 7° livello ai 6 mesi per i quadri. Durante questo periodo sia l’azienda che il dipendente possono recedere senza che ci sia obbligo di preavviso e di indennità.
Per le aziende che hanno un minimo di 15 dipendenti valgono le norme riguardanti le assunzioni obbligatorie: è la c.d. quota di lavoratori disabili che è fissata dalle tabelle contenute nei contratti collettivi.

4.ESTINZIONE DEL RAPPORTO

Un rapporto di lavoro può terminare per varie cause:

A) Dimissioni Del Lavoratore
Il dipendente può presentare per iscritto le dimissioni in qualunque momento a patto che rispetti il preavviso previsto dal contratto. In caso contrario deve pagare un’indennità all’azienda pari all’importo della retribuzione che avrebbe percepito durante il periodo di preavviso.

B) Licenziamento Per Giusta Causa
Un’azienda può licenziare un dipendente solo qualora sussistano dei motivi giustificati (gravi inadempienze del lavoratore, ragioni strettamente inerenti all’attività produttiva). Il licenziamento deve essere comunicato in forma scritta al dipendente che, a sua volta, ha 15 giorni di tempo per chiederne i motivi. Se questi sono ritenuti non giusti si hanno 60 giorni per impugnare il licenziamento. I licenziamenti discriminatori (ad esempio per via della fede politica o per via dell’appartenenza a un sindacato) sono considerati nulli. Sono nulli anche i licenziamenti che sono mancanti della forma scritta (licenziamenti verbali).

C) Scadenza Del Termine
Questa evenienza è valida per tutte quelle di tipologie di rapporto che rientrano nella categoria del lavoro a tempo determinato.

D) Recesso Per Giusta Causa
Sia l’azienda che il dipendente possono recedere dal contratto di lavoro senza preavviso (lavoro a tempo indeterminato) o prima della scadenza del termine (lavoro a tempo determinato) se viene a determinarsi una causa che impedisca, anche temporaneamente, la prosecuzione del rapporto.
Nel caso di recesso dal contratto di lavoro a tempo indeterminato il lavoratore ha diritto ad una indennità sostitutiva del preavviso.

Una nota a riguardo del preavviso:
fatta eccezione per il caso in cui si rientra nel licenziamento per giusta causa, la parte che intende recedere dal contratto di lavoro deve dare all’altra un periodo di preavviso, previsto contrattualmente. La durata del preavviso dipende dal livello e dall’anzianità di servizio del dipendente. Anche se non strettamente obbligatorio, è d’uso che la comunicazione di recesso sia redatta in forma scritta.
In mancanza del preavviso, la parte che recede deve una indennità alla controparte pari al compenso spettante al dipendente nel previsto periodo di preavviso, comprensiva di eventuali trattamenti come 13a e 14a.

5.LE FERIE

Tutti i dipendenti hanno diritto di godere delle ferie che devono essere almeno di 4 settimane (il minimo è fissato in 26 giorni lavorativi, considerando una settimana come composta da 6 giorni lavorativi) e di cui almeno 2 devono necessariamente essere impiegate nell’anno di maturazione. Si deve usufruire del resto delle ferie entro e non oltre 18 mesi dal termine dell’anno in cui sono maturate.
Le ferie sono irrinunciabili, per cui se un lavoratore si presenta spontaneamente al lavoro durante il periodo delle sue ferie non ha diritto ad alcuna indennità.
Una malattia che colpisce il lavoratore durante un periodo di ferie ne sospende il computo. A guarigione avvenuta il lavoratore ha diritto a quei giorni di ferie che non ha goduto in quanto ammalato. Per aver diritto alla sospensione del conteggio dei giorni di ferie a causa di una malattia occorre spedire il certificato medico (tramite raccomandata) al datore di lavoro e alla ASL.

6.GIORNI FESTIVI

Ogni lavoratore ha diritto, ogni sette giorni, a un periodo di riposo di 24 ore consecutive. Abitualmente questo periodo viene fatto coincidere con la domenica ma per particolari esigenze (turni, lavoro in settori particolari come, per esempio, la vendita al dettaglio) può essere fissato per un altro giorno della settimana.
Oltre alle domeniche, la legge fissa alcuni giorni come festivi come Natale, Capodanno, Ferragosto, il lunedì dopo la Pasqua ecc. Tra queste festività di legge rientra anche la ricorrenza del Santo Patrono del comune in cui si trova la sede di lavoro del dipendente.
Durante i giorni festivi al lavoratore spetta la paga giornaliera standard se riposa, mentre se presta la sua attività ha diritto alla maggiorazione prevista dal suo contratto di categoria. Nel caso in cui una festività di legge coincida con una domenica, al dipendente è riconosciuta comunque un’ulteriore quota retributiva.

7.PREMI E INDENNITÀ, MENSILITÀ SUPPLEMENTARI

In due occasioni, nel corso dell’anno, le aziende erogano ai dipendenti le mensilità aggiuntive:
1 – la tredicesima mensilità, che viene corrisposta alla vigilia di Natale ed è conteggiata sulla retribuzione relativa al periodo 1° gennaio – 31 dicembre
2 – la quattordicesima mensilità, che viene corrisposta al 1° luglio ed è conteggiata sulla retribuzione relativa ai 12 mesi precedenti


Il computo delle mensilità è stabilito in una mensilità della retribuzione di fatto. Questa è calcolata sommando: la paga base nazionale, le indennità (contingenza e altre indennità a carattere non occasionale), altri elementi contributivi che derivano dallo specifico contratto collettivo e altri elementi a carattere continuativo. Non vengono considerati come parti della retribuzione di fatto: i rimborsi spese, gli straordinari, le gratifiche una tantum e tutte quelle voci escluse dall’imponibile per legge.
L’azienda può inoltre concordare con i lavoratori dei premi di risultato legati ad elementi valutativi come, per esempio, una percentuale sugli utili extra rispetto al preventivo. (...)




8.INFORTUNI SUL LAVORO E MALATTIE PROFESSIONALI

Ogni azienda è tenuta a: assicurare i suoi dipendenti presso l’INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali(*) e a mettere in atto tutte quelle precauzioni e tutele atte a prevenirli. Nonostante tutto questo, qualora un lavoratore subisca un infortunio sul lavoro (o sia colpito da malattia professionale) e, per questo motivo, debba assentarsi per un periodo più o meno lungo dal suo impiego, ha diritto a: conservare il posto di lavoro e a ricevere un trattamento economico a carico sia del datore di lavoro sia dell’ente previdenziale (INAIL, a patto che sia regolarmente assicurato). Parte di questo trattamento è stabilito per legge ed è composto da una quota a carico del datore (dal 1° al 4° giorno di assenza per infortunio) e una quota a carico dell’ente previdenziale (a partire dal 4° giorno). Il resto di questo trattamento economico è composto da un’integrazione (interamente a carico dell’azienda) stabilita dal contratto nazionale che in specifico regola il lavoro del dipendente. L’integrazione è dovuta a partire dal 5° giorno di assenza per infortunio.

(*) Sono definite malattie professionali tutte quelle patologie che si sviluppano a causa di agenti nocivi presenti sul posto di lavoro. Le cause principali sono legate all’uso di materiali o sostanze chimiche nocive per la salute il cui effetto può anche manifestarsi ad anni di distanza. Dal 1965 esiste un elenco (aggiornato nel 1994) di malattie professionali riconosciute. Se una malattia non è presente nell’elenco, occorre dimostrare il nesso tra patologia e attività lavorativa per aver diritto al risarcimento.

9.MALATTIE NON PROFESSIONALI

Quando un lavoratore si ammala deve avvisare tempestivamente il suo datore di lavoro facendogli pervenire il certificato di malattia entro due giorni dal rilascio da parte del suo medico curante.
Il lavoratore ha anche l’obbligo di trovarsi nel proprio domicilio in determinate ore (dalle 10:00 alle 12:00 e dalle 17:00 alle 19:00) per consentire le visite di controllo del medico fiscale inviato dal datore di lavoro. In caso contrario scattano le sanzioni relative alle assenze ingiustificate.
Il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro (la durata massima è 180 giorni, dopo di che il datore può procedere al licenziamento) e al trattamento economico di malattia (l’indennità è a carico in parte del datore di lavoro e in parte dell’INPS).
È importante sapere che se una malattia colpisce il lavoratore durante un periodo di ferie, il computo di queste viene sospeso per riprendere solo a guarigione avvenuta. Per aver diritto alla sospensione del conteggio dei giorni di ferie a causa di una malattia occorre spedire il certificato medico (tramite raccomandata) al datore di lavoro e alla ASL.

10.MATERNITÀ E PATERNITÀ

Durante la gravidanza una donna lavoratrice ha il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo che va da due mesi prima a tre mesi dopo la data presunta del parto (fa fede la data indicata dal medico che segue la gravidanza). Se il parto è prematuro, i giorni non goduti si aggiungono al periodo di congedo post partum. I limiti di congedo non sono assoluti e possono essere suscettibili di variazioni a seconda dei casi (ad esempio nella c.d. gravidanza a rischio). In questo periodo l’astensione dal lavoro ha carattere obbligatorio.
Durante il congedo di maternità, la lavoratrice ha diritto ad una indennità giornaliera, calcolata nell’80% della sua normale retribuzione giornaliera.
Al padre lavoratore spetta lo stesso trattamento della madre in casi gravi come: morte o grave infermità della madre, abbandono o affidamento esclusivo al padre del neonato. In questo caso si parla di congedo di paternità.
Una volta terminato il periodo (obbligatorio) del congedo di maternità, tutti e due i genitori hanno il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo massimo complessivo (si somma il periodo della madre a quello del padre) di 10 mesi (non necessariamente consecutivi) a patto che questa richiesta venga fatta entro l’ottavo anno di vita del figlio. Durante questo congedo spetta una indennità pari al 30% della retribuzione.
In caso di malattia del figlio i genitori possono astenersi dal lavoro (o la madre o il padre ma non insieme), ma il periodo di assenza non viene retribuito.
Limitatamente al primo anno di vita del bambino, alla madre lavoratrice sono accordati di diritto due periodi di riposo (da un’ora ciascuno) al giorno. L’indennità per questi periodi di riposo è a carico dell’INPS.




11.ORARIO DI LAVORO

Di norma l’orario settimanale di lavoro è fissato in 40 ore (la legge Treu, del 1996, ha abbassato il limite dal precedente di 48 ore settimanali). A seconda dell’attività e degli accordi, questo orario può variare tra le 38 e le 45 ore. Anche conteggiando le ore di straordinario, questo totale non dovrebbe superare le 48 ore per ogni periodo di sette giorni. Qualora questo limite venga superato c’è l’obbligo di informare la Direzione Provinciale del Lavoro, a patto che l’unità produttiva occupi più di 10 lavoratori.
Per calcolare correttamente la durata media dell’orario di lavoro, non bisogna conteggiare: le ferie, le malattie e le ore di straordinario bilanciate da riposi compensativi.
In alcuni frangenti la normativa relativa ai limiti settimanali non si applica. È il caso dei lavoratori la cui durata della prestazione, per sua natura, non può essere determinata con precisione (ad esempio certe figure di dirigente) o di lavoratori impiegati in attività che devono garantire la continuità di servizi pubblici.
Nel caso di lavoro notturno (definito come il lavoro che viene svolto dalle 22 alle 6) non si può superare il limite di 8 ore (medie) al giorno. Ha diritto di rifiutare il lavoro notturno la lavoratrice o il lavoratore che ha un figlio di età inferiore a 3 anni (età elevata a 12 anni se è l’unico genitore affidatario), o che ha a proprio carico un disabile.

Ogni lavoratore ha diritto a 11 ore consecutive di riposo ogni 24 ore. Fanno eccezione tutte quelle attività che sono caratterizzate da periodi di lavoro frazionati nell’arco della giornata.
Quando l’orario giornaliero supera le 6 ore, il lavoratore ha diritto ad una pausa che non può essere inferiore a 10 minuti.

La riduzione annua dell’orario di lavoro (conosciuta con la sigla ROL) varia dalle 56 ore (aziende fino a 15 dipendenti) alle 72 ore (aziende con più di 15 dipendenti). Si può usufruirne tramite permessi retribuiti da 4 o 8 ore. La ROL non goduta viene pagata.

12.PREVIDENZA INTEGRATIVA

La legge permette l’istituzione da parte del contratto collettivo di forme volontarie di previdenza (pensione integrativa) previa autorizzazione della Commissione di Vigilanza.
L’adesione alle forme integrative di previdenza non è obbligatoria ma volontaria e può essere richiesta da tutti i dipendenti (a tempo indeterminato o determinato con contratto di durata di almeno tre mesi).
Il fondo pensionistico integrativo è alimentato da versamenti in parte a carico dell’azienda e in parte a carico del dipendente (è la parte più consistente).
LA RIFORMA DEL 2007

Dal 1° gennaio 2007 è entrato in vigore il decreto legge n°252/2005 sulla riforma della previdenza complementare, che riguarda sia i dipendenti che i lavoratori autonomi. Questa riforma prevede che il lavoratore abbia la facoltà di scegliere come destinare il TFR che gli spetterà alla fine del suo rapporto con un'azienda: può mantenerlo presso il datore di lavoro o può destinarlo a una delle forme pensionistiche complementari disponibili. Questa scelta deve essere presentata per iscritto al datore di lavoro entro 6 mesi dalla data di inizio del rapporto lavorativo (chi era già impiegato al momento dell'entrata in vigore del decreto, il 1° gennaio 2007, ha dovuto scegliere entro il 30 giugno 2007). In caso che il lavoratore non esprima la propria preferenza entro il termine di 6 mesi, scatta la regola del "silenzio-assenso" e il TFR viene destinato secondo quanto previsto dal CCNL o dagli accordi aziendali. Questo decreto vale solo per le quote TFR maturate dopo il termine di 6 mesi per esercitare la scelta: la parte di TFR eventualmente maturata prima di quella data rimane comunque presso l'azienda.

13.RETRIBUZIONE MENSILE

La retribuzione mensile di un lavoratore è normalmente composta da:
1 – La paga base nazionale del settore di appartenenza
2 – Il superminimo
3 – Le indennità di contingenza
4 – Le indennità di funzione (vale per i quadri)
5 – Scatti di anzianità (sono aumenti fissi per ogni triennio di servizio presso la stessa azienda)

Si parla invece di retribuzione di fatto riferendosi al contenuto effettivo della busta paga: le voci sopra elencate più tutti gli eventuali compensi (a carattere continuativo) erogati al lavoratore. Non fanno parte della retribuzione di fatto: i rimborsi spese, i compensi straordinari, le gratifiche una tantum e tutti quegli elementi retributivi esclusi per legge dall’imponibile. Questa distinzione è importante per il calcolo corretto della quota giornaliera (sia normale che di fatto) che si ottiene dividendo la retribuzione per 26.
Il lavoratore ha diritto a ricevere, come atto di pagamento, il prospetto paga che deve specificare il periodo di lavoro a cui il compenso si riferisce, tutte le voci che concorrono al totale e le trattenute effettuate. Il prospetto deve essere firmato o timbrato dal datore di lavoro (o da che ne fa le sue veci).




14.SANZIONI DISCIPLINARI

I provvedimenti disciplinari a carico di un lavoratore possono essere costituiti un semplice rimprovero verbale, da un biasimo scritto, da una multa oppure, per casi più gravi, dalla sospensione dal servizio e dalla retribuzione (che comunque non può essere superiore a 10 giorni) fino ad arrivare al licenziamento disciplinare (senza preavviso).
Le norme relative alle sanzioni disciplinari e ai relativi provvedimenti devono essere affisse all’interno dell’azienda in un luogo accessibile a tutti i dipendenti (ad es. una bacheca all’entrata).
Prima di applicare al lavoratore una sanzione più grave del semplice rimprovero verbale, l’azienda deve contestare al dipendente il fatto addebitato dandogli un ragionevole tempo (massimo 5 giorni) per sentire le sue ragioni. Se non rispetta questa procedura si ricade nel caso di licenziamento illegittimo.

Responsabilità civili e penali
Se un lavoratore è sotto procedimento penale (in arresto o in libertà provvisoria) è data facoltà all’azienda di sospenderlo dal servizio, dallo stipendio e da qualsiasi altro compenso a lui spettante, fino al raggiungimento del giudicato definitivo.
Nell’ipotesi di sentenza di assoluzione, il dipendente ha diritto a essere riammesso appieno.
Nell’ipotesi di sentenza di condanna si ha una duplice possibilità:
1) Se il reato è stato commesso al di fuori dell’azienda, è data facoltà al datore di lavoro di non riammettere in servizio il lavoratore al quale, però, spetta lo stesso trattamento dovuto in caso di dimissioni.
2) Se il reato è stato commesso ai danni dell’azienda o in servizio, il rapporto si intende sciolto con gli effetti del licenziamento in tronco.

Doveri e rispetto delle norme disciplinari
Ogni dipendente è tenuto al rispetto delle norme disciplinari dell’azienda in cui lavora. Queste norme riguardano obblighi (ad es. segretezza d’ufficio, cura e diligenza dei materiali e dei beni aziendali, rispetto dell’orario di lavoro) e divieti (ad es. trattenersi nei locali dell’azienda oltre il normale orario senza autorizzazione e non in regime di lavoro straordinario).

15.SICUREZZA SUL LAVORO

Le norme riguardanti la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo dove essi svolgono le loro mansioni sono molto articolate e sono oggetto di numerosi decreti legge e decreti ministeriali.
In tema di sicurezza sul lavoro la legge prevede obblighi sia a carico dell’azienda che del lavoratore. Tra gli obblighi a carico dell’azienda rientrano lo studio di un piano di sicurezza (previa la valutazione dei rischi inerenti la tipologia di attività svolta), l’organizzazione di un servizio di prevenzione e protezione e il sostenimento dei costi per informare e formare i dipendenti in tema di sicurezza. Tra gli obblighi a carico dei lavoratori rientrano il rispetto di tutte le norme di sicurezza impartite dall’azienda, l’utilizzo con diligenza di tutti i dispositivi di protezione e la segnalazione tempestiva all’azienda di potenziali o reali condizioni di pericolo.
Al fine di razionalizzare al meglio l’organizzazione delle procedure di sicurezza sul lavoro, la legge prevede l’elezione di uno o più rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori (a seconda del numero dei dipendenti).

16.(TFR)TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO

Quando il rapporto di lavoro cessa, per qualsiasi motivo (compreso quindi il licenziamento per giusta causa), il lavoratore ha diritto a un trattamento di fine rapporto (TFR).
In concreto il TFR è composto dalla somma di tutti gli accantonamenti annuali maturati durante il periodo in cui il lavoratore ha prestato la sua opera presso l’azienda.
Per calcolare la quota annuale da accantonare per il TFR, si considera la retribuzione annuale (vanno esclusi: rimborsi spese, una tantum, indennità varie a carattere non continuativo, gratifiche) e la si divide per 13,5 (stabilito per legge). Se nell’anno di computo il periodo di lavoro è stato inferiore ai 12 mesi, la quota per il TFR viene ridotta proporzionalmente.
L’accantonamento annuo subisce delle detrazioni che sono costituite da: il contributo addizionale (0,5% di tutta la retribuzione imponibile) e l’imposta sostitutiva (11% della rivalutazione annua del fondo).
Alla fine di ogni anno al fondo TFR accantonato alla fine dell’anno precedente si deve applicare una rivalutazione (tanto per essere chiari: a fine 2007 si deve rivalutare il fondo TFR maturato a fine 2006) costituita da: un tasso dell’1,5% (fissato per legge) e dal 75% dell’aumento del costo della vita stabilito dall’ISTAT per l’anno a cui si riferisce la rivalutazione (nel nostro esempio il 2006). Se un rapporto di lavoro si risolve durante l’anno, il tasso fisso dell’1,5% viene ridotto proporzionalmente al periodo di lavoro in cui il rapporto era in essere (se si divide 1,5% per i 12 mesi, si ottiene 0,125% al mese; si ricordi che le frazioni di mese di almeno 15 giorni sono contate come mese intero).
Per eventualità specificate per legge (spese per salute di carattere straordinario, spese per la formazione, spese di acquisto per la prima casa per sé o per i figli), il lavoratore ha diritto a chiedere un’anticipazione del TFR a patto che abbia almeno 8 anni di anzianità di lavoro e che la cifra anticipata non superi il 70% del fondo maturato. Nel chiedere l’anticipazione si tenga presente che le aziende, come prassi consolidata, limitano questa tipologia di liquidazione al 10% degli aventi diritto all’anno. Questo per evitare crisi di liquidità dovute a concentrazioni massicce di richieste in un periodo limitato.
Il TFR (o la sua quota chiesta in anticipo) deve essere versato al lavoratore entro e non oltre 45 giorni dalla cessazione del servizio (o dalla richiesta di anticipo). In caso di superamento di tale limite, se non è dovuto a colpe del destinatario del pagamento (il lavoratore), si applica il tasso di interesse ufficiale aumentato di 2 punti.
Se l’azienda fallisce, il lavoratore ha diritto all’indennità di preavviso (oltre che al TFR maturato) e la cifra totale che gli spetta è considerata un credito privilegiato.
LA RIFORMA DEL 2007

Dal 1° gennaio 2007 è entrato in vigore il decreto legge n°252/2005 sulla riforma della previdenza complementare, che riguarda sia i dipendenti che i lavoratori autonomi. Questa riforma prevede che il lavoratore abbia la facoltà di scegliere come destinare il TFR che gli spetterà alla fine del suo rapporto con un'azienda: può mantenerlo presso il datore di lavoro o può destinarlo a una delle forme pensionistiche complementari disponibili. Questa scelta deve essere presentata per iscritto al datore di lavoro entro 6 mesi dalla data di inizio del rapporto lavorativo (chi era già impiegato al momento dell'entrata in vigore del decreto, il 1° gennaio 2007, ha dovuto scegliere entro il 30 giugno 2007). In caso che il lavoratore non esprima la propria preferenza entro il termine di 6 mesi, scatta la regola del "silenzio-assenso" e il TFR viene destinato secondo quanto previsto dal CCNL o dagli accordi aziendali. Questo decreto vale solo per le quote TFR maturate dopo il termine di 6 mesi per esercitare la scelta: la parte di TFR eventualmente maturata prima di quella data rimane comunque presso l'azienda.




17.TRASFERIMENTI

Secondo quanto espressamente stabilito dal Codice Civile, un lavoratore può essere trasferito in un’altra sede dell’azienda solo in caso di “comprovate ragioni tecniche organizzative o produttive”. In particolare l’azienda deve dimostrare che:
1) Il lavoratore è inutile o non più utile all’attuale sede in cui lavora
2) Il lavoratore (per via delle sue specifiche competenze) è invece utile alla sede di destinazione del trasferimento
3) I motivi che hanno portato alla individuazione di quel particolare lavoratore (e quindi non di un altro con pari competenze) sono seri e cruciali per l’attività aziendale

Il trasferimento va comunicato sempre in forma scritta (preavviso di 45 giorni, elevati a 70 se il lavoratore ha una famiglia a carico) e, se difetta di una delle condizioni sopra esposte, può essere impugnato dal dipendente. Ma anche in presenza di tutte le condizioni le aziende non possono trasferire alcune categorie (ad es. portatori di handicap o lavoratori che assistono con continuità familiari portatori di handicap, lavoratori che esercitano funzioni pubbliche come consigliere provinciale o comunale) senza l’espresso consenso del lavoratore.

In caso di trasferimento il lavoratore, oltre alla normale retribuzione, ha diritto anche a delle indennità:
1) Rimborso delle spese di viaggio e trasloco (bagagli e mobilio)
2) Rimborso di altre spese o mancate perdite (ad es. perdita delle mensilità di affitto dell’alloggio che lascia perché non è riuscito a trovare in tempo da subaffittare) direttamente dovute al trasferimento.
3) Diaria di trasferta (che spetta anche per i familiari a carico che si trasferiscono con il lavoratore capofamiglia)

18.TRASFERTE

Le aziende possono inviare i propri dipendenti fuori sede per missioni temporanee. Al dipendente in missione spettano:
1) Un rimborso delle spese effettivamente sostenute (viaggio, trasporto, bagagli, eventuale pernottamento, ecc.) che devono essere documentate.
2) Una diaria giornaliera pari almeno al doppio della retribuzione giornaliera (se non c’è pernottamento la diaria è ridotta di un terzo e se la missione dura più di un mese la diaria è ridotta del 10%).
Queste disposizioni non si applicano nel caso degli operatori di vendita.

19.CONTROVERSIE DI LAVORO

All'insorgere di una controversia, sia durante che alla fine di un rapporto di lavoro (ad es. a seguito di un licenziamento), le parti devono tentare una conciliazione. Il tentativo è obbligatorio e solo dopo il suo eventuale fallimento si può adire a un arbitrato. Dal momento della presentazione della richiesta, si ha tempo 60 giorni per trovare un accordo conciliatore tra le parti. Il tentativo può essere esperito in via amministrativa (presso la Commissione di Conciliazione della Direzione Provinciale del Lavoro) o tramite i sindacati (con modalità che variano a seconda del Contratto Collettivo di riferimento).
Se l’accordo non riesce, o se decorrono i termini, è previsto il deferimento della controversia ad un Collegio Arbitrale. L’arbitrato è un istituto che prevede che a una terza parte sia dato il potere di decidere sulla composizione di una controversia. Occorre ricordare che gli Arbitri del Collegio non sono dei giudici ma la loro decisione può avere valenza giurisdizionale (in questo caso si parla di arbitrato rituale, regolato dal Codice di Procedura Civile) o valenza di accertamento (in questo caso si parla di arbitrato irrituale, regolato dal d.l. n°80/1998 e dal d.l. n°387/1998).
L’arbitrato rituale prevede il rispetto di una procedura prefissata e produce un documento, il Lodo, che ha il valore e la forza di sentenza, previa omologazione da parte di un Giudice. L’arbitrato irrituale, invece, produce un lodo che ha valore solo tra le parti che hanno stipulato il compromesso. A causa di questa sua minore “forza”, il lodo dell’arbitrato irrituale può essere impugnato dalle parti se esistono elementi previsti dal Codice Civile in caso di negozi nulli o annullabili (ad es. per incapacità degli Arbitri). L’arbitrato irrituale ha una sfera d’azione che va al di là del solo lavoro subordinato: esso infatti abbraccia anche controversie di lavoro autonomo purché sussista il requisito della prestazione d’opera coordinata e continuativa.
Il fatto che la legge investa l’arbitrato di un potere tra le parti non allenta il controllo della stessa: un arbitrato condotto al di fuori delle disposizioni di legge, del contratto o dell’accordo collettivo sarebbe viziato e quindi nullo.




20.MOBBING: A CHI RIVOLGERSI

La parola mobbing è entrata nell’uso comune grazie al premio Nobel Konrad Lorenz (1903-1989) l’etologo che la coniò nei primi anni ’70 per descrivere il comportamento di alcune specie di animali che assalgono, circondandolo, un proprio simile costringendolo ad abbandonare il gruppo. Ma è solo dopo il lavoro di ricerca dello psicologo svedese Heinz Leymann, sulla fine degli anni ’80, che il termine mobbing assume l’accezione attuale e cioè “una comunicazione ostile, non etica, diretta in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo”.
Scopo principale del mobbing è l’allontanamento dal posto di lavoro della vittima, cercando di costringerla a dare le dimissioni ed evitando così il ricorso al licenziamento. Per definire una situazione di mobbing aziendale occorre quindi essere in presenza di una serie di atti vessatorî e prolungati nel tempo (almeno sei mesi) che producono nella vittima conseguenze negative di carattere psicologico (depressione, perdita di fiducia in se stessi, problemi di relazioni, in casi limite addirittura il suicidio) e anche fisiche (malattie psicosomatiche, ulcere, indebolimento delle difese immunitarie, ecc.). Quindi il mobbing, per essere riconosciuto come tale, deve ricondursi a una violenza psicologica (talvolta si arriva persino alla violenza fisica) che ha il carattere di sistematicità e intenzionalità.
Si parla di mobbing verticale quando i comportamenti vessatorî provengono dai superiori della vittima, mentre si ha mobbing orizzontale quando le vessazioni sono originate dai colleghi.
Nel caso il mobbing sia una vera e propria strategia aziendale (ad es., per allontanare personale in esubero a seguito di una fusione tra società) si parla di bossing.

Per attuare in concreto il mobbing vengono impiegati diversi comportamenti che fanno leva sull’autostima della vittima che viene minata fino a giungere all’ansia, alla depressione e alla sensazione di isolamento, di essere sola di fronte alle ingiustizie subite. Tra le tecniche più diffuse si possono citare: la sottrazione sistematica di mansioni di responsabilità (dequalifica del lavoro fino a livelli considerati umilianti), l’esclusione dai processi aziendali (decisionali, operativi), l’aumento di richiami e rimproveri anche per le questioni più banali, il rifiuto sistematico di richieste varie (permessi, ferie, materiale per lavorare meglio, ecc.). Il tutto per acuire nel vessato la sensazione di ostilità e isolamento, per indurlo a presentare le dimissioni.
Le motivazioni che spingono a esercitare il mobbing sono tra le più disparate: si va dall’antipatia nei confronti del vessato a comportamenti legati a mancanza di rispetto nei confronti di appartenenti a minoranze (stranieri, soggetti diversamente abili, ecc.), a ritorsioni vere e proprie per dipendenti che hanno manifestato dissenso, che hanno scoperto e denunciato magagne e inefficienze dell’azienda o che si sono rifiutati di piegarsi a richieste ingiuste, immorali (come, per es., nel caso di avances sessuali) o addirittura illecite.

Difendersi dal mobbing non è semplice per la stessa natura subdola del fenomeno e perché l’onere della prova ricade sulla vittima del mobbing. Se i comportamenti di colui che mette in atto il mobbing non sono riconducibili a fattispecie previste dal codice (lesioni volontarie, minacce, abuso d’ufficio, ecc.) occorre provare il nesso tra questi comportamenti e l’effettivo danno patito dalla vittima. Già si è detto del limite temporale: occorre dimostrare che il mobbing, oltre che sistematico (e quindi non a carattere episodico), è durato oltre 6 mesi e che ha prodotto conseguenze negative sulla vittima. Queste conseguenze sono principalmente di natura psicologica (ansia, depressione, ecc.) e vanno documentate con certificati medici emessi da psicologi iscritti all’Albo Professionale. Naturalmente anche le eventuali patologie derivate direttamente dalla situazione di mobbing vanno documentate con certificati medici.

Ricerche recenti hanno evidenziato che in Italia circa un milione di persone sono interessate, a vari livelli di gravità, dal fenomeno mobbing. In parte ciò è dovuto al fatto che in Italia, per via della legislazione vigente, è molto più difficile licenziare o trasferire il personale dipendente. Per questo motivo, il mobbing assurge a modalità largamente diffusa per ottenere l’allontanamento di personale non desiderato senza cadere nelle difficoltà burocratiche legate ai licenziamenti senza giusta causa. Naturalmente il mobbing, se viene riconosciuto in sede di tribunale, è fonte di responsabilità civile che genera, nell’azienda colpevole di mobbing, l’obbligo di risarcimento del danno biologico (più difficile il riconoscimento del danno morale o esistenziale, anche se la recente giurisprudenza si sta orientando anche verso questa direzione).

Le questioni legate al mobbing aziendale sono molto delicate perché investono più aspetti. Non ci si limita a problemi di carattere legale (denuncia dei fatti, cause di lavoro in tribunale) ma spesso viene coinvolta la sfera psicologica del lavoratore vessato. I gravi problemi psicologici che quasi sempre accompagnano le vittime di mobbing (problemi che sfociano anche in problematiche di salute legate al fenomeno della somatizzazione) allargano la sfera dei professionisti e delle istituzioni a cui rivolgersi in caso di mobbing aziendale.
Abbiamo quindi varie tipologie di professionisti di riferimento a seconda della gravità, della durata, della tipologia di mobbing e degli effetti (psicologici e medici) che ha sul lavoratore colpito.

Solitamente, al primo manifestarsi di fenomeni riconducibili al mobbing aziendale, molti sopportano o credono di poter gestire da soli la problematica. In realtà in questa fase sarebbe meglio rivolgersi ai Sindacati per una prima segnalazione e per ricevere, se possibile, i primi consigli pratici su come agire.
Qualora non sia possibile o non si voglia passare attraverso i Sindacati, è molto importante chiedere informazioni e consulenza agli appositi Osservatorî sul fenomeno del mobbing istituiti proprio per monitorare un fenomeno molto più diffuso di quanto possa sembrare, dai confini sfumati e dalle modalità subdole.
Come accennato in precedenza, gli effetti di un mobbing aziendale prolungato nel tempo o feroce nei modi possono essere devastanti a livello psicologico, favorendo la comparsa di sintomatologie depressive con perdita di autostima. In questo caso è importante rivolgersi a psicologi specializzati che, naturalmente, non forniscono consigli diretti sul problema mobbing ma si premurano di evitare che gli effetti psicologici nocivi non si sviluppino ulteriormente o che sfocino in somatizzazioni pericolose per la salute. Gli psicologi sono anche utili perché possono produrre certificati validi per provare il nesso causale tra comportamenti di mobbing aziendale e malessere psicologico del lavoratore vittima.
Nei casi più gravi, qualora insorgano patologie legate allo stress da mobbing (ulcere, cefalee, ecc.) occorre rivolgersi tempestivamente dal proprio medico curante che è in grado anche di produrre certificazioni atte ad essere usate in procedimenti giudiziari contro l’azienda che ha posto in essere comportamenti riconducibili al mobbing.
Ovviamente in questa lista di professionisti non devono mancare gli avvocati o gli studi legali (è meglio se sono specializzati nelle tematiche legate al lavoro) i quali possono essere consultati in ogni momento, anche all’insorgenza delle prime avvisaglie di mobbing.

FINE