Il Nuovo Testamento è la raccolta dei ventisette scritti, tutti in
lingua greca, che compongono la seconda parte della Bibbia
cristiana.
Si tratta di ventuno lettere, quattro vangeli, un libro
di narrazione storiografica con evidente intento teologico (gli
Atti degli Apostoli) e un testo apocalittico che si
presenta come grandiosa visione profetica (l’Apocalisse).
Questi scritti, diversi per genere letterario ed estensione,
testimoniano la fede in Gesù di Nazaret, messia e Figlio di Dio,
inviato escatologico di Dio per la salvezza dell’umanità, Parola
definitiva di Dio all’uomo.
La composizione del Nuovo
Testamento e la formazione del canone
L’espressione
“Nuovo Testamento”, dal latino Novum Testamentum
(in greco kainè diathèke), è stata utilizzata per
designare la raccolta degli scritti neotestamentari solo a partire
dalla fine del II sec. Questo appellativo comportò che venisse
chiamato “Antico Testamento” l’insieme delle Scritture d’Israele. Ma
prima di indicare un corpus scritturistico, la
parola “testamento”, o meglio “alleanza”, designava la relazione
speciale con cui Dio si era legato al suo popolo.
I libri della
nuova alleanza sono dunque la testimonianza della disposizione
divina, del disegno salvifico divino manifestato in Cristo. E sono
anche la testimonianza delle esigenze che questa alleanza comporta
per il credente. L’arco cronologico che ha visto nascere gli scritti
neotestamentari, è relativamente ristretto. Essi sono sorti nella
seconda metà del I sec., con la possibilità di spingersi fino ai
primissimi decenni del II sec. (120 circa) per 2 Pietro,
normalmente ritenuto l’ultimo scritto del NT. Se si tiene conto
anche del periodo di trasmissione orale e delle tradizioni (orali e
scritte) formatesi nel periodo post-pasquale e poi confluite negli
scritti neotestamentari (a partire dunque dall’anno 30), l’intero
arco cronologico di formazione dei ventisette libri del NT è
inferiore a un secolo.
L’ordine in cui i vari libri sono
generalmente disposti non è cronologico. I più antichi scritti
cristiani sono infatti, con tutta probabilità, alcune lettere di
Paolo; in particolare, si può pensare a 1Tessalonicesi come al più
antico testo neotestamentario: probabilmente risale al 49-50. I
libri neotestamentari si presentano invece, comunemente, nella
seguente disposizione: Matteo, Marco, Luca, Giovanni, Atti,
Romani, 1-2 Corinzi, Gàlati, Efesini, Filippesi, Colossesi, 1-2
Tessalonicesi, 1-2 Timoteo, Tito, Filèmone, Ebrei, Giacomo, 1-2
Pietro, 1-2-3 Giovanni, Giuda, Apocalisse.
Al primo
posto vengono dunque i vangeli, che presentano vita, passione, morte
e risurrezione di Gesù Cristo, cioè l’evento fondante della fede
cristiana. Seguono gli Atti, anch’essi di carattere
storiografico, che narrano la nascita, la crescita e la diffusione
della Chiesa. Le lettere ci riportano al cuore della vita delle
comunità cristiane e dei rapporti tra gli evangelizzatori (Paolo in
particolare) e le comunità stesse. In molti manoscritti greci del NT
le lettere dette “cattoliche” (Giacomo, 1-2 Pietro, 1-2-3
Giovanni, Giuda) precedono quelle paoline (le prime tredici
più Ebrei), probabilmente perché attribuite agli
apostoli che erano stati insieme con Gesù ed erano ritenuti «le
colonne» (Giacomo, Pietro e Giovanni: vedi Gal 2,9). In Occidente
diverse testimonianze esprimono la forte coscienza del primato di
Pietro ponendo le sue lettere al primo posto tra le cattoliche.
Viene infine l’Apocalisse che, trattando delle
“cose ultime”, chiude naturalmente l’intero NT. Da Matteo
all’Apocalisse si disegna così un’unità ideale
teologicamente rilevante: dalla nascita nella carne dell’Emmanuele,
il Dio con noi (Mt 1,23), all’attesa orante della venuta gloriosa
del Signore: «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20). L’orizzonte del NT si
estende, dunque, dalla genealogia matteana che inserisce Gesù nella
discendenza di Davide e di Abramo, cioè nella storia d’Israele (Mt
1,1-17), alla liturgia della Chiesa cristiana che, nel suo cammino,
invoca la venuta del Signore nella gloria, a compimento della storia
(Ap 21-22).
Il corpus paolino e i quattro vangeli
Le lettere paoline e i quattro vangeli furono le prime due
raccolte di scritti del NT, originariamente indipendenti, che
costituirono poi le parti essenziali del canone cristiano. La comune
provenienza dalla testimonianza apostolica favorì certamente
l’accostamento tra i due gruppi, e così la memoria delle parole e
delle azioni di Gesù e la parola apostolica rivolta alle comunità,
che confessavano lo stesso Gesù quale Signore vivente, si trovarono
riunificate a testimoniare la continuità storica della relazione di
Dio, in Cristo, con gli uomini.
Il gruppo di scritti che fu
raccolto per primo è quello delle lettere paoline. È possibile che
la formazione di un corpus paolino sia iniziata
mentre Paolo era ancora vivente. A volte lo stesso autore chiede che
la comunità destinataria di una lettera la faccia conoscere ad altre
Chiese (Col 4,16); altre volte le lettere hanno uno spettro di
destinatari più ampio di una sola comunità (vedi ad esempio 2Cor
1,1; Gal 1,2). La lettura ad alta voce nelle assemblee liturgiche
della comunità destinataria, la destinazione ampia, non ristretta a
una sola comunità locale, la venerazione per la figura
dell’apostolo, che a volte è anche il fondatore della comunità a cui
scrive, sono elementi che hanno favorito il processo di raccolta e
di conservazione delle lettere paoline. In ogni caso, il fatto che
alcune lettere di Paolo siano andate perdute, può significare che
questo lavoro di raccolta e di conservazione non sia avvenuto in
maniera rigorosamente sistematica. Il passo di 2Pt 3,15-16 attesta
l’esistenza di un corpus di lettere paoline (di cui
però non conosciamo l’estensione) la cui autorità è accostata a
quella delle «altre Scritture», e cioè i libri dell’AT.
Verso la
metà del II sec. l’esistenza di una raccolta cospicua di lettere
paoline è testimoniata con sicurezza da Policarpo di Smirne (che ne
conosce otto) e Marcione (che ne conosce dieci). Alla fine del II
sec. la più antica lista di libri del NT, il Canone di Muratori, che
con tutta probabilità riflette la situazione nella Chiesa di Roma
verso il 200 (sebbene oggi questa datazione “tradizionale” sia messa
in discussione), presenta una collezione di 13 lettere paoline:
manca Ebrei, la cui canonicità faticò a imporsi in
Occidente, mentre in Oriente sia Clemente di Alessandria che Origene
conoscono un corpus di 14 lettere di Paolo,
compresa dunque Ebrei.
La seconda raccolta di
scritti, che divenne poi fondamentale nel canone, fu quella dei
quattro vangeli. Essi sono stati composti nella seconda metà del I
sec., ma non siamo in grado di precisare dove e quando essi furono
riuniti insieme. Con tutta probabilità ogni singolo vangelo (Matteo,
Marco, Luca, Giovanni) doveva essere in origine il
vangelo, l’unico vangelo, per una comunità cristiana di una
determinata località geografica. Papia di Gerapoli, intorno al 125,
mostra di conoscere almeno i vangeli di Matteo, Marco
e Giovanni, ma attesta anche la persistenza della
tradizione orale e afferma la sua predilezione per essa rispetto
alla forma scritta: «Se mai venisse qualcuno che sia stato seguace
dei presbiteri, lo interrogherei sulle parole dei presbiteri, su che
cosa Andrea o Pietro o Filippo o Tommaso o Giacomo o Giovanni o
Matteo o qualsiasi altro dei discepoli del Signore abbiano detto…
Perché io non credo che le informazioni ricavate dai libri possano
aiutarmi quanto le espressioni di una voce vivente e sopravvivente»
(Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica III, 39,
4).
Poco alla volta, nel corso di quello stesso II sec., nelle
comunità cristiane si venne imponendo il valore delle testimonianze
evangeliche scritte, a preferenza della tradizione orale. Giustino
(metà del II sec.) conosce e cita i quattro vangeli, che chiama
«memorie degli apostoli», e attesta l’usanza della loro lettura nel
culto e nella liturgia, accanto a testi dell’AT: «Nel giorno
chiamato del sole [cioè la domenica] ci si raduna tutti insieme,
abitanti delle città o delle campagne, e si leggono le memorie degli
apostoli o gli scritti dei profeti, finché il tempo lo consente» (I
Apologia 67, 3). Il Canone di Muratori, all’inizio
della sua elencazione dei libri neotestamentari, presenta per primi
i quattro vangeli, che alla fine del II sec. erano ormai ritenuti
autorevoli in modo concorde dalle Chiese d’Oriente e d’Occidente.
Gli Atti degli Apostoli, le altre lettere e l’Apocalisse
Il riconoscimento della canonicità degli Atti degli
Apostoli poté fondarsi sul fatto che essi costituivano la
seconda parte del racconto di Luca (At 1,1-2). Ireneo di Lione cita
estesamente gli Atti (Contro le eresie
III, 12-15) e li definisce «Scrittura» (III, 12, 5). Qualche antica
testimonianza manoscritta accosta gli Atti ai
vangeli e mostra così che vi è una continuità tra la missione della
Chiesa e quella di Cristo. Tra la fine del II e gli inizi del III
sec. l’autorità degli Atti è ben affermata sia in
Oriente che in Occidente. Il Canone di Muratori inserisce gli
Atti tra i vangeli e le lettere paoline, Origene li
accoglie e così Eusebio di Cesarea.
La lettera agli Ebrei,
probabilmente composta a Roma (e ben conosciuta da Clemente di
Roma), ebbe un percorso di riconoscimento canonico diverso in
Occidente e in Oriente. In Oriente essa fu sempre, e in modo
sostanzialmente uniforme, ritenuta paolina e canonica; non così in
Occidente, dove Ebrei si venne imponendo solo nella seconda metà del
IV sec., soprattutto grazie alla personalità di Ilario di Poitiers,
Girolamo e Agostino, certamente per influenza della tradizione
diffusa in Oriente.
Le lettere cattoliche (Giacomo, 1-2
Pietro, 1-2-3 Giovanni, Giuda) furono, a parte 1
Pietro e 1 Giovanni, la sezione più
instabile del canone neotestamentario.
Per l’Apocalisse
vale, in certo senso, un discorso opposto a quello relativo alla
lettera agli Ebrei. Accolta in Occidente, essa
incontrò numerose difficoltà in Oriente. Citata nel Canone di
Muratori, fu in generale ritenuta canonica in Occidente e suscitò un
intenso lavoro di commento. In Oriente invece, la posizione di
Dionigi di Alessandria (seconda metà del III sec.), che negava la
paternità giovannea dell’Apocalisse, e soprattutto la reazione al
diffondersi del montanismo (un movimento ereticale che indulgeva a
forme estatiche e si presentava come “nuova profezia”), suscitarono
sospetti e diffidenze verso questo scritto fin verso il 500.
Da
questa situazione si può dedurre che già nel II sec. era
universalmente riconosciuto un “nucleo canonico” di una ventina di
libri: i quattro vangeli, tredici lettere di Paolo, Atti, 1
Pietro, 1 Giovanni. La cosa è particolarmente notevole, in
quanto questa unanimità si era instaurata tra comunità cristiane
anche geograficamente molto distanti tra loro. Inoltre, nel IV sec.
i ventisette libri che costituiscono il canone neotestamentario,
giunsero ad un riconoscimento pressoché universale. Vi fu certamente
ancora qualche incertezza anche nei secoli successivi, sia in
Oriente che in Occidente, ma di scarso rilievo. La più antica
testimonianza che ritiene canonici i ventisette libri del NT è
rappresentata dalla trentanovesima lettera festale di Atanasio
(dell’anno 367). Sono questi i libri che formano il canone sancito
dal Concilio di Firenze (1442) e definito dal Concilio di Trento
(1546).