I vangeli e gli Atti degli Apostoli hanno in comune
il fatto di essere scritti di carattere narrativo. Si tratta inoltre
di narrazione storiografica. Del resto, Atti è la
seconda parte della cosiddetta opera lucana, il cui primo tomo è
costituito dal terzo vangelo, espressamente definito nel suo prologo
come “narrazione” (dièghesis: Lc 1,1). Il termine
“vangeli” è riservato ai quattro testi (Matteo, Marco, Luca,
Giovanni) totalmente incentrati sulla vita, la passione, la
morte e la risurrezione di Gesù Cristo. Gli Atti
contengono invece solo pochi frammenti riguardanti la vita terrena
di Gesù (At 10,37-43) e narrano eventi successivi alla risurrezione,
interessandosi all’opera di evangelizzazione originata dalla
Pentecoste e ai primi passi delle comunità cristiane. A differenza
sia dei vangeli che degli Atti, le lettere e l’Apocalisse
non sono scritti narrativi: le lettere testimoniano un rapporto
diretto fra il mittente e le comunità cristiane colte nel loro
presente, mentre l’Apocalisse è una lettura della
storia a partire dall’evento pasquale, il Cristo, Agnello immolato,
morto e risorto.
Il termine “vangelo”
La parola italiana “vangelo” (o “evangelo”) deriva dal latino
evangelium, a sua volta derivato dal greco
euanghèlion. Se per noi tale parola evoca dei testi
scritti, i “libri” dei vangeli, non era così in epoca
neotestamentaria, quando indicava la proclamazione orale di un
messaggio. Il vangelo non è dunque prima di tutto uno scritto, ma un
annuncio orale, una predicazione.
Nella letteratura greca non
cristiana il termine indica la ricompensa data al messaggero per la
buona notizia annunciata, e quindi anche la “buona notizia”, in
particolare la notizia di una vittoria militare. Nel mondo
greco-romano il vocabolo è poi connesso al culto imperiale e indica
gli eventi della nascita, dell’accesso al trono e delle vittorie
militari dell’imperatore. Lo stesso vale per il verbo
euanghelìzomai, che indica l’atto di recare buone notizie.
Questo verbo assume un significato teologico rilevante a partire dal
Secondo-Isaia. Qui la “buona notizia” è l’intervento storico di Dio
che libera Israele dalla schiavitù babilonese e dà inizio al nuovo
esodo, ma diviene anche annuncio di salvezza e dell’avvento del
regno di Dio (Is 52,7). Nella letteratura biblica influenzata dal
Secondo-Isaia, in particolare nel Terzo-Isaia e nei Salmi che
proclamano la regalità universale del Dio d’Israele (Sal 47; 93;
96-99), questo annuncio proclama la salvezza escatologica e le dà
inizio. Particolare rilievo assume la figura del “messaggero” che
porta la buona notizia della salvezza (Is 61,1ss; Mt 11,5; Lc
4,17-19).
È possibile che Gesù abbia impiegato, nella sua
predicazione, almeno il verbo “evangelizzare”. Di certo, nei vangeli
il vocabolo euanghèlion designa anzitutto
l’annuncio della regalità di Dio da parte di Gesù, messaggero della
salvezza escatologica. Egli non solo proclama tale salvezza, ma la
realizza con i gesti e le parole, nella sua persona. Il vocabolo,
particolarmente caro a Paolo e frequente nelle sue lettere, è
divenuto anche un termine tecnico cristiano per indicare l’annuncio
e l’evento stesso della salvezza attuata da Dio in Gesù Cristo. Nel
NT Gesù appare così soggetto (nel suo ministero storico) e oggetto
(nella predicazione della Chiesa) dell’annuncio evangelico. Nella
parola neotestamentaria “vangelo” confluisce sia l’eco delle sue
applicazioni al culto imperiale nel mondo ellenistico (e questo gli
conferisce una valenza polemica nei confronti dell’ideologia
imperiale, che faceva dell’imperatore il salvatore) sia,
soprattutto, il senso teologico presente nel verbo “evangelizzare”
impiegato nel Secondo-Isaia e nel Terzo-Isaia.
Il plurale
“vangeli” fu usato a cominciare dal II sec. Giustino parla delle
«memorie degli Apostoli dette vangeli» (I Apologia
66). L’adozione del termine “vangelo” nell’incipit
dello scritto di Marco (Mc 1,1), in cui significa
ancora l’annuncio orale della salvezza, ha favorito l’applicazione
del termine al suo scritto e agli altri “vangeli”. Solo allora il
termine ha iniziato a designare uno scritto e un genere letterario.
Parallelamente a euanghèlion, a partire dal II sec.
(Ippolito e Tertulliano), anche il termine euanghelistès,
“evangelista”, inizia a designare ciascuno degli autori dei vangeli.
Nel NT, in cui ricorre solo tre volte (At 21,8; Ef 4,11; 2Tm 4,5),
tale vocabolo indica invece chi ha il compito di trasmettere, di
annunciare e predicare il Vangelo.
I Sinottici e il
IV vangelo e la loro formazione
Con ogni probabilità
originariamente i vangeli non portavano alcun titolo ed erano
anonimi. Il loro stesso numero impose la necessità di una
designazione per distinguerli l’uno dall’altro ed è così che nel II
sec. li vediamo intitolati con l’appellativo “vangeli”, o meglio,
“vangelo secondo” (non “vangelo di”) più il nome dell’evangelista.
In questo modo si è salvaguardata l’unicità del vangelo come evento
di salvezza realizzato da Cristo e si è specificata la diversità
delle testimonianze scritte. Testimonianze del II sec. attribuiscono
i quattro scritti ai quattro evangelisti Matteo, Marco, Luca e
Giovanni, ovvero a due apostoli (Matteo e Giovanni, che facevano
parte del gruppo dei “Dodici”) e a due uomini che furono vicini ad
apostoli (Marco in stretto rapporto con Pietro e Luca compagno di
Paolo). Le attribuzioni a queste quattro personalità intendevano
salvaguardare l’origine apostolica degli scritti e la loro
attendibilità. Tuttavia il fatto che i vangeli non siano “firmati”
vuole probabilmente indicare, da un lato, la maggiore rilevanza del
messaggio rispetto all’autore e, dall’altro, la preminenza del
soggetto collettivo, tradizionale, da cui proviene il messaggio: il
gruppo dei discepoli.
Anche solo a una prima lettura dei vangeli,
emerge chiaramente che essi possono essere suddivisi in due gruppi:
i vangeli di Matteo, Marco e Luca
da una parte e quello di Giovanni dall’altra. I
primi tre presentano tali somiglianze tra loro che dalla seconda
metà del XVIII sec. è invalso l’uso di chiamarli “Sinottici”, cioè
che possono essere abbracciati con un solo e unico sguardo (syn
= insieme; òpsis = sguardo). Il IV vangelo presenta
particolarità tutte proprie, a cominciare dal vocabolario,
abbastanza ristretto. Inoltre, diverse parole che Giovanni
utilizza con particolare frequenza sono rare nei Sinottici, ad
esempio “amare”, “amore” (agapào, agàpe), “verità”,
“vero” (alètheia, alethès, alethinòs).
Dal punto
di vista del quadro geografico e cronologico il canovaccio narrativo
presente nei Sinottici è il seguente: preparazione del ministero
(Giovanni Battista e Gesù), ministero di Gesù in Galilea, viaggio
verso Gerusalemme, ministero a Gerusalemme, passione e morte,
risurrezione. La durata di questi avvenimenti sembra racchiusa nel
periodo di un anno. In Matteo e Luca
troviamo, all’inizio del vangelo, una narrazione concernente la
nascita e l’infanzia di Gesù, molto diversa nei due vangeli (Mt 1-2;
Lc 1-2).
Il IV vangelo presenta invece uno schema più complesso
di quello dei Sinottici, in ambedue le coordinate storiche del tempo
e dello spazio. L’attività pubblica di Gesù si svolge in un periodo
superiore ai due anni, poiché inizia in un momento imprecisato
dell’anno e si estende poi da una prima a una terza Pasqua. Gli
spostamenti di Gesù dalla Galilea alla Giudea sono frequenti,
soprattutto all’inizio del racconto. Raramente gli episodi di questo
vangelo si svolgono in parallelo con quelli dei Sinottici, anche se
ambedue le narrazioni presentano lo stesso mistero di Gesù che
rivela il Padre e che offre la vita per la salvezza del mondo. Non
mancano peraltro episodi riportati da tutti e quattro i vangeli e
una sostanziale uniformità nei dati che costituiscono il racconto
della passione.
Come ricorda la Dei Verbum (19),
la storia della formazione dei vangeli può essere schematizzata in
tre tappe. La prima è la fase prepasquale, la fase del ministero
storico di Gesù e della comunità radunata attorno a lui:
cronologicamente essa termina intorno all’anno 30. La seconda è
quella della comunità postpasquale, della predicazione e della
testimonianza apostolica su Gesù a partire dall’evento della
risurrezione: essa abbraccia, a grandi linee, il trentennio che va
dal 30 al 60. La terza fase è quella della redazione finale e
comprende gli anni che vanno dal 60-70 fin verso la fine del I sec.
(90-100). È possibile che la seconda fase sia anche più breve e che
la redazione finale sia da collocarsi in una data più antica,
tuttavia questo non cambierebbe sostanzialmente il processo di
formazione dei vangeli: infatti, si dovrebbe sempre tener conto di
un periodo di trasmissione orale dei materiali tradizionali e di una
loro prima efficacia all’interno delle comunità cristiane. Con
questo itinerario si opera il passaggio da Gesù ai vangeli, dal
“Vangelo” ai quattro vangeli, come viene sintetizzato nel prologo di
Luca (Lc 1,1-4).